giovedì 19 giugno 2008

San Miniato al Monte, le ragioni di una presenza



Non è poi così difficile suggerire ai fiorentini quale sia il significato storico e spirituale più essenziale della Basilica di San Miniato al Monte. Chiunque infatti si trovi a passeggiare o anche a percorrere velocemente i lungarni non ha che da alzare lo sguardo al cielo, a qualsiasi ora del giorno o della notte, e lasciarsi così catturare dal fascino della mirabile facciata che, ad oriente della nostra città, con la sua miracolosa armonia di marmi bianchi apuani e di verde serpentina pratese, vorrebbe ancora, dopo quasi mille anni, suscitare nei nostri cuori la nostalgia per l’altra città, quella celeste, quella futura, quella che san Giovanni Apostolo, il Visionario dell’Apocalisse, definisce la «Gerusalemme Celeste» e immagina circondata da mura di pietre preziose, città santa e bellissima come bellissima è San Miniato al Monte.
Firenze ha dunque, oltre alle sue magnifiche porte in pietraforte della cinta medieovale, una porta sospesa sul cielo, aperta su varchi di mistero e di trascendenza, come del resto ci rivela un cartiglio marmoreo che, sulla soglia della cosiddetta Porta Santa, avvisa ancora oggi lo sguardo del pellegrino in questi termini: «Haec est Porta Coeli», questa è la Porta del Cielo. Sono le parole che pronuncia Giacobbe dopo aver sognato, in un famoso passo della Genesi, la celebre scala che poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo e gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa. Quella scala, quella porta, quegli angeli erano per Giacobbe il segno che egli si trovava al cospetto della casa di Dio, ille locus terribilis, la domus Dei dove l’uomo assetato di Dio e della sua lode poteva finalmente incontrare la terra promessa come segno benedetto dell’amore del Signore per le sue creature.
D’altronde di aprire realmente una Porta del Cielo per tutta la città di Firenze ne doveva avere avuta profetica percezione lo stesso Vescovo Ildebrando quando, esattamente 990 anni fa, il 27 aprile del 1018 avvertì la necessità di ricostruire ex novo il vetusto luogo di culto che serbava le reliquie del protomartire armeno Miniato e dei suoi compagni uccisi durante le crudeli persecuzioni di Decio, alla metà del terzo secolo. Suo intento era farne una Basilica che, oltre alla custodia della memoria di quei Santi antichi, più di tutto testimoniasse con la sua bellezza l’orizzonte di speranza pasquale che aveva motivato l’eroica morte sanguinaria subìta da quei primi cristiani trucidati sulle rive d’Arno. Perciò San Miniato al Monte doveva essere – e continua ad essere – memoria del passato e, al contempo, sguardo profetico su ciò che ci attende, perché tutta una comunità civile, senza mettere in discussione la sua doverosa fedeltà alla terra ed il suo inevitabile divenire di città degli uomini, potesse però in ogni momento rivolgere il suo sguardo fiducioso al cielo attraverso i marmi, le porte e i mosaici dorati di questa Basilica e perché la loro bellezza facesse «sorgere lo spirito cieco verso la luce» e invitasse ogni uomo a rinnovare «l’immagine di Dio configurandola al Cristo», come scrive in alcune sue potenti pagine San Bernardo, il celebre abate di Chiaravalle.
D’altro canto è allo stesso tempo vero che chi vuole ammirare, e dunque amare, Firenze con un solo colpo d’occhio riassuntivo di tutte le sue bellezze e di tutta la sua storia non ha che da salire a San Miniato e comprendere perché lo stesso Vescovo Ildebrando avesse voluto affidare la Basilica ad una comunità monastica: da dove meglio che da questa collina volgere uno sguardo di amore, di premurosa vigilanza, di attenzione – come avrebbe detto Simone Weil – sulle miriadi di storie che si intrecciano ogni giorno nelle nostre strade e piazze e che costituiscono l’epopea umile, feriale, ma anche a suo modo gloriosa che è la vita della nostra civitas?
Per questo amoroso intreccio di sguardi nel segno della bellezza, della memoria e della speranza fra la città e il suo desiderato futuro di pace simboleggiato dalla nostra Basilica, San Miniato al Monte è luogo amato da tutti i fiorentini e dagli innumerevoli visitatori di ogni parte del mondo che, con stupore e meraviglia, sono incerti se contemplare prima il superbo rigore geometrico e armonico della facciata romanica col dorato bagliore dei suoi mosaici bizantini o piuttosto il tacito e incredibile accordo di tanti mirabili monumenti civili e religiosi che paiono emergere dal vasto mare di coppi rossi dei tetti fiorentini. Una bellezza e un’armonia che quassù, al di là della loro pur oggettiva ed evidente caratura teologica, parlano al cuore di ogni persona, qualsiasi sia la sua cultura, la sua provenienza, la sua interpretazione circa il mistero della vita. Del resto siamo ben consapevoli che tanta storia anche civile è stata scritta su questa collina cara alla «geografia della grazia» di Giorgio La Pira, a cominciare dall’eroica difesa, fra il 1529 e il 1530, della Repubblica Fiorentina, quando, raccogliendo l’eredità della predicazione savonaroliana, anche il sommo genio di Michelangelo dall’alto del nostro campanile collaborò a presidiare la libertà di un intero popolo in uno degli ultimi capitoli, nella storia della nostra sfortunata Italia, di fiera ed eroica coscienza civile contro l’arroganza di ogni tirannide. Eredi e responsabili di un patrimonio così eccezionalmente ricco per i suoi molteplici significati spirituali, estetici e storici, come monaci noi per primi ci sentiamo, in accordo con la nostra secolare tradizione benedettina, ospiti di un luogo la cui custodia la grazia di Dio ci ha affidato a duratura consolazione di un’intera comunità cittadina e – osiamo dire – di tutta la famiglia umana.


Dom. Bernardo Gianni, OSB, monaco dell’Abbazia di San Miniato al Monte
lectio.divina@libero.it

lunedì 16 giugno 2008

Di Paolo e Rosenberg ad Archivi del '900 Milano

il 17 giugno 2008 alle ore 18:00

Nino Di Paolo presenta il suo libro
ANNO SANTO 1975. DA MILANO A ROMA A PIEDI
FARA EDITORE

“Nicola Di Paolo ci racconta la storia autobiografica di quando, a diciassette anni e in occasione dell'anno santo del 1975, decide con i suoi amici e il parroco di raggiungere Roma a piedi, seguendo la tradizionale strada dei pellegrini. Un viaggio, dunque, da Rho a Roma, e il viaggio è la metafora per eccellenza della formazione di un ragazzo…”
Segnalato dal Premio Piccola editoria di qualità






Il 18 giugno 2008 alle ore 18:00

Barbara Rosenberg presenta il suo libro
STORIE CON UN ALTRO FINALE
con illustrazioni di Massimiliano Parazzini
FARA EDITORE


“Queste gustosissime favole postmoderne ci proiettano nel mondo avventuroso, mitico e magico in cui il tempo si compatta e le relazioni con gli esseri viventi diventano emblematiche di valori che non tramontano: amore, amicizia, rispetto, capacità di mettersi in gioco e nei panni dell’altro…”

Segnalato dal Premio Piccola editoria di qualità

Seguirà aperitivo a buffet

info www.archivi900.com


mercoledì 11 giugno 2008

Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?

Giovedì 22 maggio 2008. La lectio di questa sera di Don Eraldo Tognocchi è ispirata dal suo ultimo libro intitolato Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? (La preghiera di Gesù sulla croce), scritto per far luce sul senso di queste parole che possono essere intese come un lamento-sfogo di Gesù, uomo, vicino alla sofferenza umana, oppure come una raccomandazione al Padre che il suo abbandono nelle mani degli uomini non sia avvenuto per una fatalità inspiegabile, ma per un atto d'amore e un progetto di salvezza del mondo. La sofferenza quando si patisce è avvertita come qualcosa di eccessivo, di ingiusto; e pur sapendo che abbiamo bisogno di purificazione, noi rivolgiamo a Dio un rimprovero confidenziale per esprimere tutto il nostro sconcerto, perché il dolore, la malattia e la morte, hanno sempre un carattere avverso e nemico. Gesù però l'ha fatta propria questa nostra condizione: noi non riusciamo a vedere quanto a lui sia difficile, a volte, aiutarci a ritrovare la strada giusta, e forse per questo abbiamo bisogno di fare esperienza del male, che il Signore non ci evita, perché altrimenti non ci accorgeremmo della nostra indifferenza e della nostra superficialità.

Dalla parabola del padre misericordioso, noi conosciamo un padre che lascia andare suo figlio per aiutarlo a capire che al di fuori della propria casa, nessun amore è eguale a quello sperimentato prima di partire. Abbiamo così l'idea di un Dio che non è preoccupato della sua dignità ma soltanto delle sue creature. La preghiera che noi sentiamo sulla bocca di Gesù, presa dal Salmo 22, comincia proprio così: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Nel corso del Salmo il cantore sofferente elenca i turbamenti; le sventure; e ne cerca una ragione: che alla fine scopre quando comprende che Dio lo aveva abbandonato affinché conoscesse la sua liberazione e il volto del suo salvatore. Istruiti dal Salmo e dal Vangelo di Giovanni: «ma io non sono solo, perché il Padre è con me» (cfr Gv 16, 37), non possiamo pensare che la preghiera di Gesù nasca da un bisogno di sfogo proprio degli uomini! Gesù è consapevole di vivere in una dipendenza dal Padre un po' simile alla nostra, e allora parlerà del Padre come la sorgente di questo piano di salvezza a cui si sottopone: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà» (Lc 22, 42). Dal racconto della passione di Luca, ci accorgiamo che la volontà del Padre si identifica con la volontà di morte del suo popolo contro Gesù e, infatti, alla fine del brano leggiamo: «Pilato allora decise che la loro richiesta fosse eseguita. Rilasciò colui che era stato messo in carcere per sommossa e omicidio e che essi richiedevano, e abbandonò Gesù alla loro volontà» (Lc 23, 24). Gesù deve morire perché si è proclamato Figlio di Dio: il popolo lo condanna per affermare che non lo è; il Padre invece per rivelarlo come tale nell'estremo suo patire per amor nostro.

Il rapporto difficile che Gesù ha con i suoi discepoli nasce dalla volontà di perdere la vita per i suoi amici: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15, 13). La prima volta che Gesù parla della sua necessità di morire Pietro protesta, lo prende da parte perché sente che questo Gesù ha bisogno di essere difeso e, secondo il Vangelo di Matteo, gli si rivolge con una frase che tradotta letteralmente dal greco è di un candore commovente: «Pietà per te Signore» (cfr Mt 16, 22), cioè abbi un po' di pietà per te! Pietro non comprendeva che per salvare i discepoli era necessaria una testimonianza radicale, in cui l'amore era più importante della vita. Il testo greco non sopporta la traduzione: «Lungi da me, satana!» (cfr Lc 16, 23) come se Gesù avesse mandato via Pietro, mentre voleva richiamarlo al dovere di discepolo perché imparasse a capire che quanto più la vita si dona tanto più ci appartiene. E' un'esaltazione dell'amore col quale tutto diventa divino, e perfino la morte perde il suo carattere di fine e diventa misura dell'amore supremo che trascende il tempo, il limite, e la vita stessa dell'uomo.

La domanda di Gesù: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» è anche una preghiera che esprime la sua volontà di conoscenza dei disegni segreti del Padre di fronte a una morte inconcepibile! E allora c'è bisogno che il Padre abbia cura di far sapere alla Chiesa al mondo le ragioni di questa morte, che non sono un caso, un destino e neppure la conseguenza dei nostri peccati, perché anche il male ha una sua capacità di dominio. Il Signore Gesù voleva che attraverso la sua morte si comprendesse che l'amore di Dio resta tale anche quando lo rifiutiamo. Questa è la ragione profonda per cui Gesù invita il Padre a manifestare le ragioni che creano le condizioni storiche e religiose della sua morte: sono gli avvenimenti narrati nei vangeli che svelano i segreti di Dio e rendono visibili i benefici dell'inestinguibile amore di Gesù crocifisso per il mondo intero. Quando diciamo che Gesù piange, suda, versa sangue è perché non c'è pianto, spargimento di sangue, fatica umana che non implichi una partecipazione con cui Dio, attraverso Gesù, vuole condividere lo strazio dell'uomo per portare solidarietà e speranza dove la giustizia degli uomini prevede punizione e morte. Anche il salmista nella seconda parte del Salmo 22 ottiene delle risposte: dopo il lamento, le implorazioni di aiuto al versetto 23, hanno inizio le lodi e i ringraziamenti per essere stato esaudito: «Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all'Assemblea. Lodate il Signore...perché egli non ha disprezzato né sdegnato l'afflizione del misero, non ha nascosto il suo volto, ma, al suo grido d'aiuto, lo ha esaudito.» (cfr Sal 22, 23-25).

Si ricorda che il prossimo incontro di lectio divina si terrà giovedì 12 giugno 2008, alle ore 18.30, nel locale situato sopra l'Archivio Storico delle Porte Sante, ingresso a sinistra della Basilica di San Miniato al Monte.

Notizie dalla Lectio
a cura della Redazione
Comunicato n. 53

martedì 3 giugno 2008

Le pillole di Enrica 2

a cura di Enrica Musio (v. anche qui)

Nel libro di Brunella Bruschi Lune persuase, ho trovato dei bellissimi testi poetici.
Con una scrittura perfetta. Un libro che sembra un laboratorio poetico, dove crescono versi strepitosi, profondi e intensi. Ci comunicano un trasporto di sentimenti e di anima.
Un libro da leggere con tanto sentimento.



Ne La Riviera del Sangue Alessandro Rivali tratta i temi della sua vita, della sua terra, della sua città, Genova, della sua gente, dei luoghi. Sono poesie ben scritte, ma anche con un linguaggio un po’ duro e ferente, con tono molto confessionale. Non si è limitato a esprimere dei sentimenti, ma ha fatto una ricerca poetica molto interessante: ha usato una titolazione molto forte e azzeccata.


Il libro di Stefano Bianchi Le mie scarpe son sporche di sabbia anche d’inverno, contiene poesie semplici, romantiche, moderne e giovanili. Leggendolo ho trovato molti aspetti tipici di Rimini, e anche della Romagna. In queste poesie l’autore riversa paure, nostalgia e delusioni.
Ha cercato di usare anche il dialetto romagnolo. Sono rimasta entusiasta e colpita per la citazioni di Raffaello Baldini, un poeta di Santarcangelo di Romagna che io amo molto.


Nel libro di Sauro Stefani Vita e personaggi nella Santarcangelo dei nostri padri si racconta in forma narrativa e onirica, con stile allegro la gente romagnola: vecchi personaggi esistiti veramente nella “Clementina” Santarcangelo di Romagna. I personaggi con le loro manie, i loro difetti e loro buffe caratteristiche. Ora non ci sono più, ma qui ritornano alla mente, anche a noi giovani santarcangiolesi, che non vogliamo mai conoscere le vecchie tradizioni del paese.
Leggendo questo libro ho “rivisto” personaggi di cui mi parlavano la mia cara nonna e mia madre. Leggendo li ho capiti meglio: Bagnoli il gelataio, la guardia comunale “Splorcia”, l’ortolana Tisbe, Bruto il giornalaio, Burro, la maestra G. (era anche la maestra di mia madre), la Pocia, la Tirabaci, e la Marietta. È bello rivederli in questi racconti. Questo libro fa venire in mente un po’ Tonino Guerra, Federico Fellini e Amarcord, con i suoi strampalati personaggi come la “Gradisca” e altri. Mi viene in mente un passo del film dove si vede il nonno di Titta e c’è la nebbia e dice in dialetto: “Se la mort l'è acsè, te' cul”.

Nel libro Solchi e nodi della bravissima e stimatissima Caterina Camporesi, ho trovato una poetica veramente sublime, che ci parla di depressione, di silenzi, di aspetti molto meditativi, di crolli, ma il tutto è scritto con un linguaggio semplice e con profonda anima sensibile come è lei. È un libro bellissimo e consiglio a tutti di leggerlo.



In Raccolta scritta dal poeta Alberto Mori, ho trovato bellissime poesie, molto moderne, giovanili, ispirate anche alla realtà che circonda l’autore.
Mi è piaciuto anche lo stile di scrittura e la tecnica, lo definirei un po’ linguaggio futuristico; leggendolo mi è venuta in mente la poetica di Marinetti.




Nel libro di Guido Zanobbi In questo bar non consuma nessuno racconta in forma narrativa e semplice avventure e ricordi di tempo passato. Sono i famosi anni '70 di un giovane e di giovani riminesi che si rintanavano in un bar e qui si raccontano le loro avventure e vari ricordi.
Ci sono fatti anche realmente accaduti e vissuti dall’autore e dai suoi amici.
Troviamo foto ricordo, e autobiografiche; foto con la famiglia, con la seicento di casa, foto di spiaggia di Rimini nel 1948, quando, giovane, suonava nei complessini riminesi, le rimpatriate, la foto della squadra di calcio, la foto del servizio militare. Per le nuove generazioni conoscere vecchi racconti tiene vivo il ricordo. Fa bene!