venerdì 26 febbraio 2010

La Trasfigurazione di Gesù sul monte

Omelia del giorno 28 Febbraio 2010
II Domenica di Quaresima (Anno C)


La prima domenica di Quaresima siamo stati vicini a Gesù, nostro Maestro nella santità, quando 'condotto dallo Spirito' nel deserto, conobbe le tentazioni di Satana: tentazioni sottili, come sono tutte e sempre le tentazioni, che cercano di fare apparire bene il male, rifiutando così l'amicizia e l'obbedienza al vero e sommo Dio, nostro infinito Amore.

Gesù, le Sue 'scelte', le vide chiare nel silenzio del deserto, che è sempre stato, per i 'cercatori di Dio', il luogo privilegiato per l'ascolto, nell'intensità della preghiera che diventa l'appassionato dialogo con Dio, in cui diventa facile dire 'sì' a Lui e al prossimo; nella penitenza, che è come uno strapparsi di dosso le false sicurezze, se non addirittura i nostri motivi di rifiuto all'amore, come è ogni forma di egoismo, dalla ricchezza all'indifferenza, diventando disponibili ad accogliere l'Amore, itinerario alla santità.

Le tentazioni rivolte a Gesù furono 'durissime': cercavano di portarlo a scegliere le vie facili ad un messianismo basato sulla potenza, sul prestigio, sul trionfo. Gesù scelse la via dell'umiltà, dell'annientarsi fino a dare tutto di Sé, fino alla crocifissione per la resurrezione. Nel deserto e nelle tentazioni dovevano apparire, senza possibilità di appannamento, 'i segni concreti' e le 'parole vere' dell'amore al Padre.

Ma le Sue scelte avevano bisogno di una conferma presso quelli che Lui aveva scelto, chiamato, gli Apostoli, che avevano accettato di seguirLo, forse sognando di fare con Lui strade trapuntate di gloria, come suggerisce sempre satana.

Le vie della povertà, dell'umiliazione, del disprezzo totale di sé, dell'annientamento, faticavano ad entrare nelle prospettive umane degli Apostoli, e anche nostre, che amiamo vedere successi, più che fare strada ai `successi' del Cuore di Dio.

Da qui il grande evento della Trasfigurazione, raccontato dall'evangelista Luca:

"In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni, e salì sul monte a pregare. E mentre pregava il suo volto cambiò di aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante Ed ecco due uomini parlavano con Lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella loro gloria, e parlavano della sua dipartita che avrebbe portato a termine a Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno, tuttavia restarono svegli e videro la sua gloria e i due uomini che stavano con Lui.
Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: 'Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè ed una per Elia. Egli non sapeva quel che diceva.
Mentre parlava così, venne una nube e li avvolse; all'entrare in quella nube ebbero paura. E dalla nube uscì una voce che diceva: 'Questi è il Figlio mio, l'eletto: ascoltatelo!: E appena la voce cessò, Gesù restò solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono ad alcuno nulla di ciò che avevano visto" (Lc. 9, 28-36).

Lascio che sia Paolo VI a commentare questo prezioso tassello della vita di Gesù con alcuni dei Suoi Apostoli, che così potranno ricordare, soprattutto nei momenti difficili della passione, Chi davvero era Gesù e perché era tra noi. Dopo aver descritto la scena della Trasfigurazione, Palo VI afferma: "Per gli Ebrei, dire Mosè era come accennare a tutta la propria storia, al popolo eletto, alla Legge; scorgere Elia era come ripercorrere i tristissimi anni durante i quali il grande profeta aveva cercato di rianimare il senso religioso e la tradizione in chi si era lasciato influire da dottrine pagane e aveva perduto la nota dominante del proprio costume religioso (come oggi).

Pietro, come in altre circostanze, il più entusiasta ed esuberante, prorompe in un grido di gioia: 'Come è bello stare qui, per sempre!' e 'Se vuoi, Signore, facciamo qui tre capanne, una per te, una per Mosè ed una per Elia', come a voler permanere in eterna beatitudine. Si aggiunge la parola divina che dona l'identità di Gesù, Figlio dell'uomo: ‘Questi è il mio Figlio prediletto, ascoltatelo!’.

Poi tutto torna alla vita normale.

La testimonianza per Gesù, in questo racconto, rimase quasi un testamento e ci domandiamo: perché la Chiesa ripropone nella liturgia un quadro così sfavillante della gloria del Signore?

In quel contesto sul monte, Gesù intende dare un saggio di chi Egli veramente è: perché poco prima aveva parlato della sua passione e ne riparlerà anche in seguito. Sono gli ultimi giorni della sua missione in Galilea. Gesù sta per trasferirsi in Giudea ove accadrà il grande dramma della vita temporale del Signore. Gesù sarà crocifisso. E perché i suoi conservino la fede, non scandalizzati, anzi esterrefatti dalla fine triste del Maestro, decide di imprimere nelle loro anime la meraviglia vista sul Tabor. In altri termini, questa scena del Vangelo pone dinnanzi a noi oggi una questione di grande attualità; si direbbe fatta su misura delle nostre condizioni spirituali.

La domanda è la medesima rivolta da Gesù, sei giorni prima dell'evento del Tabor: ‘Chi dite che sia il Figlio dell'uomo?’. È la stessa che oggi siamo invitati a rivolgerci: Chi pensiamo sia Gesù? Chi è per noi Gesù? Sappiamo bene cosa sia nella nostra vita realmente?

Alla domanda alcuni, forse molti, non sanno rispondere, non sanno che dire.

Esiste come una nube opaca di ignoranza che preme su troppi. Si ha una vaga conoscenza di Gesù, non lo si conosce bene... al punto che all'offerta di Gesù di essere per tutti guida, Maestro, si risponde di non averne bisogno e si preferisce tenerLa lontano.

Ma noi, che abbiamo questo grandissimo e dolcissimo Nome da ripetere a noi stessi, noi che siamo fedeli, noi che crediamo in Gesù, sappiamo bene Chi è?

Sappiamo dirGli una parola diretta ed esatta, chiamarLo veramente per Nome, chiamarLo Maestro, Pastore ed invocarLo quale Luce dell'anima e ripeterGli: Tu ci sei necessario, noi non possiamo fare a meno di Te, sei la nostra fortuna, la nostra gioia e felicità e speranza?

Ecco il senso del racconto evangelico. Bisogna che gli occhi della nostra anima siano rischiarati, come abbagliati da tanta luce e che la nostra anima prorompa nell'esclamazione di Pietro: 'Come è bello stare qui, davanti a Te, Signore, e conoscerTi ed amarTi!’ (4 aprile 1965).

Ho avuto modo di stare vicino a fratelli che avevano un solo desiderio nella vita: 'contemplare, stare con Gesù' ... e la loro vita sembrava una 'tenda', in cui vedevano e stavano con il Maestro.

Sono tanti, più di quello che pensiamo. Gente di tutte le età, che non possono fare a meno di visitare Gesù, capaci di ritagli nella giornata per 'stare con Gesù', per farsi rigenerare nella fede e nella gioia. Vivete, insomma, 'stando in casa con Gesù'.

Gente serena, buona, che nulla ha a che fare con le tende che gli uomini sanno moltiplicare nelle nostre piazze e che contengono amarezza e stordimento, ma nulla che sia respiro dell'animo.

Ci sono chiese aperte anche di notte per accogliere quanti vogliano stare con Gesù… e risulta che sono soprattutto i giovani a scegliere la notte per uscire dal chiasso del mondo e della vita, e gustare il silenzio con Gesù.

Ci sono anime consacrate che fanno della loro vita un continuo stare con Gesù: sono le 'adoratrici perpetue', che si danno il turno anche di notte per non lasciare mai solo Gesù.

Mia mamma, innamorata di Gesù, che aveva sempre sulle labbra e nel cuore, trovava sempre il tempo per il suo turno di adorazione durante la settimana e spesso affermava: 'Per me Gesù è la sola gioia piena della vita'. Sono uomini e donne 'tende di Gesù', che sanno ancora ricordarci che c'è Chi ci ama ed è prezioso ai nostri cuori.

Viene da ricordare un piccolo brano di passione di Paolo VI, che già vi ho donato (forse tante volte!), ma che sempre, ed oggi in particolare, mi pare essenziale - non ci si stanca mai di meditarlo e gustarlo per farlo diventare nostra esperienza -.

"O Gesù, nostro unico Mediatore, Tu ci sei necessario per venire in comunione con il Padre, per diventare con Te figli adottivi.

Tu ci sei necessario, o vero Maestro delle verità recondite e indispensabili della vita, per conoscere il nostro essere, il nostro destino, la via per conseguirlo.

Tu ci sei necessario, o Redentore nostro, per scoprire la nostra miseria e per guarirla, per il concetto del bene e del male e la speranza della santità.

Tu ci sei necessario, o grande Paziente dei nostri dolori, per conoscere il senso della sofferenza e dare ad essa un valore di redenzione.

Tu ci sei necessario, o Gesù, o Signore, o Dio con noi, per imparare l'amore vero, per camminare nella gioia e nella forza della Tua carità, lungo il cammino della nostra vita faticosa, fino all'incontro finale con Te amato, con Te atteso, con Te benedetto nei secoli".



Antonio Riboldi – Vescovo –

Internet: www.vescovoriboldi.it

email: riboldi@tin.it

mercoledì 17 febbraio 2010

LECTIO SAN MINIATO ~ 1 ~ Giovedì 4 febbraio 2010

ABBAZIA DI SAN MINIATO AL MONTE
lectio.divina@libero.it

«Rendete dunque a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio» (Lc 20.25)

Carissime e carissimi,

sono lieto di poterVi inviare l'abbondante sintesi dell'ultima lectio divina dedicata ad alcuni importanti versetti dei capitoli ventesimo e ventunesimo di Luca. Essi contengono anche il celeberrimo effato di Gesù appena citato, una risposta che continua ad ammonirci da qualsiasi idolatria del potere mondano allenandoci a saper scorgere ogni sua indebita sacralizzazione.

Vi ricordo i nostri prossimi incontri di lectio divina: giovedì 18 febbraio, e ancora giovedì 4 e 18 marzo alle ore 18.40.

Giovedì prossimo inizieremo il grande e misterioso discorso escatologico che Gesù pronuncia a Gerusalemme prima dell'inizio della sua passione.

Il primo sabato del mese prossimo, il 6 marzo, alle ore 15.30, si terrà la consueta meditazione spirituale, che abbiamo intitolato, pensando al tempo liturgico che stiamo per vivere, "la via della croce".

Con l'augurio che l'imminente inizio del cammino di Quaresima vi conduca a meglio intuire la volontà del Padre, con Stefano e la Comunità vi abbraccio caramente in Cristo,

Bernardo


Luca 20,20-36
20Postisi in osservazione, mandarono informatori, che si fingessero persone oneste, per coglierlo in fallo nelle sue parole e poi consegnarlo all'autorità e al potere del governatore. 21Costoro lo interrogarono: "Maestro, sappiamo che parli e insegni con rettitudine e non guardi in faccia a nessuno, ma insegni secondo verità la via di Dio. 22È lecito che noi paghiamo il tributo a Cesare?". 23Conoscendo la loro malizia, disse: 24"Mostratemi un denaro: di chi è l'immagine e l'iscrizione?". Risposero: "Di Cesare". 25Ed egli disse: "Rendete dunque a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio". 26Così non poterono coglierlo in fallo davanti al popolo e, meravigliati della sua risposta, tacquero.
27Gli si avvicinarono poi alcuni sadducei, i quali negano che vi sia la risurrezione, e gli posero questa domanda: 28"Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se a qualcuno muore un fratello che ha moglie, ma senza figli, suo fratello si prenda la vedova e dia una discendenza al proprio fratello. 29C'erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. 30Allora la prese il secondo 31e poi il terzo e così tutti e sette; e morirono tutti senza lasciare figli. 32Da ultimo anche la donna morì. 33Questa donna dunque, nella risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l'hanno avuta in moglie". 34Gesù rispose: "I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; 35ma quelli che sono giudicati degni dell'altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito; 36e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio.
37Che poi i morti risorgono, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando chiama il Signore: Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. 38Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui". 39Dissero allora alcuni scribi: "Maestro, hai parlato bene". 40E non osavano più fargli alcuna domanda.
41Egli poi disse loro: "Come mai dicono che il Cristo è figlio di Davide, 42se Davide stesso nel libro dei Salmi dice:
Ha detto il Signore al mio Signore: siedi alla mia destra, 43finché io ponga i tuoi nemici come sgabello ai tuoi piedi?
44Davide dunque lo chiama Signore; perciò come può essere suo figlio?".
45E mentre tutto il popolo ascoltava, disse ai discepoli: 46"Guardatevi dagli scribi che amano passeggiare in lunghe vesti e hanno piacere di esser salutati nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei conviti; 47divorano le case delle vedove, e in apparenza fanno lunghe preghiere. Essi riceveranno una condanna più severa".

Luca 21,1-4
1Alzati gli occhi, vide alcuni ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro. 2Vide anche una vedova povera che vi gettava due spiccioli 3e disse: "In verità vi dico: questa vedova, povera, ha messo più di tutti. 4Tutti costoro, infatti, han deposto come offerta del loro superfluo, questa invece nella sua miseria ha dato tutto quanto aveva per vivere".


Giovedì 4 Febbraio 2010 - Riflessioni sul Vangelo di Luca 20, 20-47; 21,1-4

Abbiamo accompagnato Gesù nel suo viaggio a Gerusalemme e con Lui siamo entrati nel tempio. Egli ha preso possesso del cuore sacro dell’antico Israele, il luogo dove tutta l’economia dell’alleanza di un popolo col suo Signore aveva il suo spazio cultuale. Gesù si è posto nel tempio con un gesto forte e violento inaugurando un nuovo tempio, quell’unico spazio di incontro con Dio rivelato dalla sua Parola, dal suo corpo, dalla sua stessa presenza.
Tutta questa lunga sezione di Luca si ambienta a Gerusalemme, in parte nel tempio. In questa città, nei suoi luoghi, avvengono durissimi scontri verbali riguardanti il rifiuto o l’accettazione di Gesù come nuovo tempio, unico luogo di mediazione col Padre e come il vero Messia, colui che bussa alle porte dell’antico Israele perché accogliendolo rinnovi il suo statuto di popolo credente nella nuova economia, nel nuovo magistero.
Anche noi siamo invitati da queste pagine e attraverso queste contese a rinnovare la nostra opzione per Gesù.
Tutte queste controversie, dopo la presa di possesso del tempio, appaiono come una serie di contraddittori che riguardano la stessa identità di Cristo, il suo posizionarsi nella storia del popolo di Israele, ma anche nella nostra storia personale di credenti.
La prima domanda tranello sulla sua autorevolezza (Luca 20,1-4) solleva veramente dei dubbi e il riferimento che Gesù fa a Giovanni il Battista non è per eludere la domanda rivoltagli, ma è per chiedere a sua volta se Israele ha ascoltato l’ultimo dei profeti mandati da Dio ad annunciare la venuta del Messia; anche noi chiediamoci se veramente sussiste una pre-disposizione a mettere noi stessi in relazione con l’urgenza profetica con cui il Signore attraverso la storia si fa strada, a credere in Lui, ad accoglierlo, a vivere i segni che ci manda come manifestazione della sua venuta e del suo ritorno nel nostro cuore.
Anche la parabola dei vignaioli omicidi (Luca 20, 9-16) sollecita il nostro cuore a chiederci se siamo disposti ad accogliere l’Unico Figlio mandato dal Padre.
Nel contraddittorio verbale tra Gesù e gli informatori dei notabili, nell’episodio del tributo a Cesare, l’attenzione si sposta su un piano orizzontale: in che misura accogliendo Cristo è possibile fare chiarezza sui nostri rapporti con tutto ciò che è contingente e appartiene a questo mondo e cosa invece ci rimanda al Signore, a una dimensione sacra. Capitolo fondamentale da cui si può davvero chiarificare la nostra appartenenza a Cristo Signore nella misura in cui sappiamo riconoscere ciò che è di Cesare e restituirglielo e viceversa saper discernere ciò che appartiene a Dio e a Lui riconsegnarlo.
La presenza di Cristo nel tempio di Gerusalemme, ma anche nella cattedrale interiore del nostro cuore, sollecita la nostra fede anche a un interrogativo fondamentale sulla vita che verrà, a come dobbiamo immaginarci la vita futura, poiché Gesù è venuto a darci una parola di salvezza che sembra già, nei miracoli da Lui compiuti, non arrendersi al male e non limitarsi alle pure vicende biologiche dei corpi, ma manifestare quel progetto di pienezza di vita che Gesù ha per ciascuno di noi e che non appare essere circoscritto nell’esperienza finale della morte.
Tutti questi incontri-scontri, le provocazioni che Gesù affronta e alle quali risponde, fino a quella che allude alla paradossalità del fatto che Davide possa chiamare “Signore” un suo discendente (Luca 20, 41-44) si risolvono in un grande rimprovero agli scribi, a tutti quelli che pregano in maniera ipocrita e la cui fede è solo apparente.
Gesù ci invita a un’esperienza esistenziale interiore radicale di abbandono; il modello che ci fornisce è dato dalla straordinaria contrapposizione fra la moneta con l’immagine di Cesare tenuta in mano dagli inviati degli scribi e gli spiccioli neanche contrassegnati, piccoli e poveri, che la vedova getta tutti nel tempio.
Gli scribi passeggiano con le lunghe vesti, siedono nei primi seggi delle sinagoghe, sembrano i soli a poter vantare una familiarità col sacro, invece sono il contrario di ciò che Gesù propone: l’immagine della vedova che non trattiene nulla per sé, che si consegna totalmente al mistero della presenza di Dio nel tempio e che rappresenta quindi il vero esempio della nostra fede che ci chiede di metterci completamente in gioco, senza riserve, ma che è anche il modello di Cristo stesso che per obbedire al Padre si consegna in totalità, dando tutto se stesso per la nostra salvezza.
C’è un percorso, un crescendo negli scontri che Gesù ha e che sollecitano anche in noi una riflessione profonda e una risposta forte.
Luca 20, 20-26 “ Postisi in osservazione, mandarono informatori, che si fingessero persone oneste, per coglierlo in fallo nelle sue parole e poi consegnarlo all'autorità e al potere del governatore. 21Costoro lo interrogarono: "Maestro, sappiamo che parli e insegni con rettitudine e non guardi in faccia a nessuno, ma insegni secondo verità la via di Dio. 22È lecito che noi paghiamo il tributo a Cesare?". 23Conoscendo la loro malizia, disse: 24"Mostratemi un denaro: di chi è l'immagine e l'iscrizione?". Risposero: "Di Cesare". 25Ed egli disse: "Rendete dunque a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio". 26Così non poterono coglierlo in fallo davanti al popolo e, meravigliati della sua risposta, tacquero”.
Gli scribi e i sommi sacerdoti non vanno personalmente da Gesù perché hanno paura del popolo che ha intuito la sua capacità di condurre gli animi a un livello profondo di verità, ma mandano dei sicari con l’intendimento di coglierlo in fallo nelle sue parole e poi consegnarlo all'autorità e al potere del governatore.
Si evidenzia l’ambiguo rapporto tra il potere sacerdotale e quello romano. Di fatto l’uno avrebbe la possibilità di rivendicare una radice d’indipendenza di Israele costretta a subire anche l’imposizione di un culto, di una tradizione così lontana come quella romana; tuttavia, quando sarà necessario per uccidere Gesù, i sacerdoti non esiteranno ad allearsi col governatore.
La domanda sulla liceità del pagamento del tributo a Cesare è ingannevole. Pagare le tasse a Cesare significava rassegnarsi all’occupazione di Israele da parte di Roma. Sappiamo da fonti storiche che sotto il regno di Quirino, governatore della Siria, di cui si parla all’inizio del Vangelo di Luca (Luca 2, 1-5) a proposito del censimento che costrinse Maria e Giuseppe a mettersi in cammino verso Betlemme le tasse contro il popolo di Israele erano state particolarmente inasprite, tuttavia l’esazione fiscale era considerata una sorta di compromesso con l’autorità romana, non pagarle avrebbe significato contrapporsi ad un potere che era molto forte rispetto alle forze limitate di Israele.
La domanda è un tranello perché ciò che interessa agli scribi e ai farisei è solo trovare il punto debole nella risposta di Gesù. Lo avrebbero fatto passare per un profeta da interpretarsi politicamente, semplicemente uno che incitava il popolo alla ribellione contro i romani, se avesse risposto di non pagare il tributo, o viceversa, per il profeta connivente con l’autorità se avesse approvato il pagamento, di fatto avallando quella sorta d’idolatria che era l’utilizzo delle monete romane sulle quali era impressa l’effigie di Cesare divinizzata, che rivelavano la profonda commistione tra culto e politica tipica dell’impero romano.
Il Signore Gesù evita di rispondere direttamente a questa domanda perentoria.
Luca 20, 24-25 24"Mostratemi un denaro: di chi è l'immagine e l'iscrizione?". Risposero: "Di Cesare". 25Ed egli disse: "Rendete dunque a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio".
La risposta indiretta di Gesù è di grande finezza. Essa crea due circuiti ben distinti, non sovrapponibili, né interscambiabili. Il primo è quello in cui si manifesta l’utilizzo idolatrico del denaro: le monete vanno restituite all’imperatore che si crede Dio; il secondo è quello di un Regno che si pone trasversalmente tra la storia delle nazioni, delle oppressioni e la storia ulteriore, nella quale vige l’economia di Dio che non è possibile materializzare sulle monete, né in strutture o contingenze politiche
Gesù crea una distinzione importantissima che avrà una grande fortuna nella cultura cristiana. Queste persone chiedono e sollecitano l’identità di Gesù attraverso una moneta. Gesù risponde che, di fatto, noi siamo impegnati a riconoscerlo e a riconoscerci attraverso altro dal denaro.
Gesù parla di immagine e di iscrizione. L’immagine è ciò che caratterizza ciascuno di noi, il volto di ciascuno di noi, e noi sappiamo, dal libro della Genesi, che la nostra immagine, cioè la nostra appartenenza non è certamente modellata sul volto di Cesare, su un oggetto, su una cosa, ma è modellata su Dio stesso. Gesù invita chi tenta di portare alla luce la sua identità attraverso un idolo, una cosa, una sembianza a riscoprire una più vera e più profonda appartenenza.
Noi, a Cesare, cioè a una persona che si idolatra, al massimo possiamo rendere un oggetto, una cosa, un’utilità, ma ciò che è proprio dell’uomo, la sua immagine irriducibile a una moneta, a un’effigie, a una pubblicità, noi non possiamo che restituirla a Dio stesso: noi non apparteniamo che a Lui e l’uomo, la sua libertà, la sua identità non può in alcun modo essere oggetto di scambio economico commerciale, e nemmeno la libertà più profonda di un popolo può essere fatta oggetto di scambio economico, commerciale e politico.
Questa risposta è davvero un grande manifesto della libertà dell’uomo, della sua dignità, della sua irriducibilità a qualsiasi tipo di logica esclusivamente commerciale o politica.
Il rapportarsi al Signore investe gli uomini di una dignità tale per cui essi divengono doppiamente cittadini: sia di quest’ambito contingente e terreno, commerciale, della politica, del fare le cose, ma anche a pieno titolo cittadini di un’altra dimensione, quella dove è assolutamente intangibile l’appartenenza a Dio.
Chiariti questi due ambiti, l’uomo ha la possibilità di muoversi liberamente e dignitosamente senza confondere i piani. Può essere doverosamente un onesto cittadino, un buon politico; egli agisce senza compromessi, senza pensare di piegare ai suoi interessi o annullare l’ambito divino perché sa di muoversi in uno spazio vitale in cui è sottoposto all’unica signoria di Dio che è l’ultima parola, quella che garantisce pienezza e libertà.
Da questo punto di vista il versetto è ricchissimo di conseguenze.
Solo nel cristianesimo e nella cultura che ne è derivata, abbiamo questa netta distinzione tra ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio, tra ambito squisitamente umano e divino.
Essa ha dato origine alla categoria della laicità propria del mondo occidentale.
Non è una categoria extra cristiana, non è derivata dall’illuminismo, ma è stato il cristianesimo ad affermare che le cose di questo mondo vivono di una loro autonomia, in un loro ambito che l’uomo può regolare, certamente non disgiunto da quello di Dio, Signore di tutte le cose. Viceversa esiste un altro spazio, quello di Dio, che non può essere utilizzato per sacralizzare, come vorrebbero gli scribi, le relazioni tra un uomo e gli altri uomini.
Si avverte una non semplice ma profondissima densità che doverosamente richiede riflessione.
Non sempre questo tipo di prospettiva ha avuto facile fortuna nella storia del cristianesimo: tante volte, nonostante la chiara indicazione di Gesù secondo la quale non si possono confondere i piani, anche poteri cristiani hanno ceduto alla tentazione di sacralizzarsi per estendere il loro dominio fino alla coscienza e alla libertà dell’uomo che è esattamente ciò che questo versetto vuole garantire.
Gesù sarà stato certamente interessato alla libertà politica del suo popolo, ma il Vangelo non è il trattato di una sua visione politica, come tale avrebbe avuto una validità contingente, ma è un manuale di vita, di piena vita, valido per ogni storia dell’uomo. Per questo il Signore non dà una risposta politica ma risponde su un piano che è decisivo per la consapevolezza che l’uomo deve avere in ordine alle cose di questo mondo e in ordine a quelle di Dio. Entrano in gioco sia la coscienza della sua libertà, della sua dignità irrinunciabile e intangibile, della sua appartenenza a Dio, essendo fatto a sua immagine, sia il suo doveroso, inevitabile e provvidenziale coinvolgimento sul piano della sua storia personale, delle relazioni sociali, politiche, culturali da cui l’uomo evangelico non potrà mai più essere mortificato. Questo avviene nei regimi totalitari, dove il potere sempre confonde l’ambito civile e politico con la dimensione del sacro manifestandosi al popolo con liturgie, con le monete coniate con effigi per sottolineare che lo scambio vitale e commerciale deriva da una sorta di sacralità della figura che vi è impressa, prospettiva che rende l’uomo pedina di un meccanismo.
La parola di Gesù, di profonda libertà, ci ricorda che l’uomo appartiene a un’economia il cui unico Signore è Dio, in cui l’unica moneta di scambio è la dimensione dell’amore, della fede, ne è esempio paradossale ed estremo il gesto della vedova che getta nel tempio, nel cuore di Dio, tutta se stessa, mettendo in discussione tutta la propria esistenza; è questa la vera risposta politica che il vangelo ci suggerisce di dare come hanno fatto schiere di martiri che hanno reso il loro essere inermi l’arma più potente per sovvertire, anche politicamente, un potere.
In questo senso il mondo europeo ha avuto una direttrice; non a caso il Papa assistito da una sua riflessione teologica, ha sempre rivendicato a sé la potestà sulle cose dello spirito. Pur avendo avuto in passato un discutibile potere politico, di fatto, c’è sempre stata la consapevolezza che l’entità dello Stato della Chiesa servisse solo per garantire, un tempo paradossalmente anche militarmente, la sua libertà riguardo alla difesa dell’interiorità della persona e della sua intima appartenenza all’unico Signore.
La contrapposizione tra l’imperatore e la Chiesa che ha segnato la storia europea nasceva dal fatto che l’imperatore tendeva ad appropriarsi dei panni sacrali del Papa pretendendo di nominare i Vescovi, lotta che si è rivelata aspra e decisiva proprio per spogliare la percezione occidentale del potere da qualsiasi presunzione di sacralità e di arbitrio anche nelle cose di Dio.
Questa è la laicità: ridurre il potere politico a mero esercizio di autorità sulle cose di questo mondo, garantire che questa circolarità per cui ciò che è di Cesare torna a Cesare non sconfini appropriandosi di dinamiche che sono soltanto dell’interiorità, dell’appartenenza, nella libertà, dell’uomo a Dio.
Quando questo principio s’indebolisce significa che la Chiesa può rinunciare alla sua libertà e l’autorità politica si assume una signoria sul cuore delle persone su cui non ha nessun diritto. Culturalmente l’Islam ha questo dramma non esistendo nessuna distinzione tra le due sfere del potere politico e spirituale, da questo deriva l’enorme difficoltà di alcuni Stati arabi nei quali la stessa autorità legifera su questioni religiose e spirituali e governa politicamente.
Per un certo periodo anche nello Stato della Chiesa c’e stata questa commistione, quando accanto al Vescovo, autorità episcopale, che governava sulle cose spirituali, c’era un Legato pontificio in rappresentanza del Papa, quasi in veste di prefetto, che governava su questioni temporali.
Garantire la netta distinzione tra i due poteri è un contributo importantissimo che il cristianesimo può dare a livello sociale globale laddove spesso la tentazione è confondere gli ambiti perché quando il potere umano si sente debole la tentazione a sacralizzarsi gli conferisce fascinazione, però lede la libertà perché gli idoli mortificano la libertà dell’uomo.
Il Dio biblico è così grande perché, per sua natura, sempre rinuncia all’idolatria. Il vitello d’oro, costruito da Aronne in assenza di Mosè, servì a tranquillizzare il popolo rappresentando materialmente un Dio che invece vuole il mistero, il silenzio, preferisce essere rappresentato solo dalla Croce di Cristo pur di fare della nostra fede una scelta di radicalità come fa la vedova che mette in gioco tutta se stessa.
Il Crocifisso del Signore Gesù è un’immagine in cui è negata qualsiasi interpretazione idolatrica di Dio, se dovessimo credere a un Dio sotto le vesti di potenza, per come l’uomo se la rappresenta, non potremmo mai credere in un volto disfatto dalle ferite, dalla morte; il Crocifisso è la rappresentazione della potenza dell’amore che Dio ha per noi.

Luca 20, 27-40
“27Gli si avvicinarono poi alcuni sadducei, i quali negano che vi sia la risurrezione, e gli posero questa domanda: 28"Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se a qualcuno muore un fratello che ha moglie, ma senza figli, suo fratello si prenda la vedova e dia una discendenza al proprio fratello. 29C'erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. 30Allora la prese il secondo 31e poi il terzo e così tutti e sette; e morirono tutti senza lasciare figli. 32Da ultimo anche la donna morì. 33Questa donna dunque, nella risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l'hanno avuta in moglie". 34Gesù rispose: "I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; 35ma quelli che sono giudicati degni dell'altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito; 36e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio.
37Che poi i morti risorgono, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando chiama il Signore: Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. 38Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui". 39Dissero allora alcuni scribi: "Maestro, hai parlato bene". 40E non osavano più fargli alcuna domanda”.
I sadducei appartenevano a una corrente che, interpretando la Bibbia alla lettera, non credeva nella resurrezione. Il loro tranello consiste nel chiedere a Gesù com’è possibile immaginare nella pienezza di un'ulteriorità di vita situazioni tanto contingenti e paradossali come quelle del caso esposto dove, in obbedienza alla legge mosaica, sette fratelli si sposano, uno dopo l’altro, con la stessa donna.
La risposta di Gesù fa fare un salto di ambito: Egli dice di non interpretare le cose inimmaginabili che ci attendono con categorie che sono di questo mondo, pare mettere in relatività il matrimonio stesso, ma non vuol dire che le nostre relazioni affettive saranno cancellate, ci fa capire che prevarrà una relazione nuova: vivere in pienezza la figliolanza divina. Questa è la parentela più importante, divenuti figli della Risurrezione, in quest’amore più grande confluiranno tutte le altre nostre relazioni.
Luca 20, 37“ 37Che poi i morti risorgono, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando chiama il Signore: Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”.
Il Signore Gesù indica Abramo, Isacco e Giacobbe come patriarchi ancora vivi accanto al Signore.
Luca 20, 38-40 “38Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui". 39Dissero allora alcuni scribi: "Maestro, hai parlato bene". 40E non osavano più fargli alcuna domanda”.
Avremo con Dio una dimensione esistenziale tanto forte da essere il tratto qualificante della vita eterna; le nostre relazioni affettive terrene che profondamente hanno segnato la nostra esistenza, pur riconosciute, rivisitate, non potranno sovrastare la più importante relazione di figliolanza divina. Ancora una volta il Signore ci sta educando a distinguere i piani.
Alla luce di tutti questi versetti si comprende perché il Signore ci abbia proposto l’immagine della vedova povera che, compiendo un gesto di estrema libertà, getta le monetine nel tempio; esse rappresentano la vita che gettata nel tempio ritorna a Colui alla quale appartiene. E’ la donna più libera, forte e serena del mondo, è la prospettiva che la fede vorrebbe suggerirci sotto la lente paradossale della Croce di Cristo: stoltezza per i pagani ma per noi chiave interpretativa della nostra vita. Quanto più annulleremo ciò che ci appartiene nell’amore di Cristo, tanto più diverremo forti e capaci di attraversare l’esistenza.

lunedì 15 febbraio 2010

La cena delle ceneri di Giordano Bruno a Tolentino 17 feb

14-15-16- MAGGIO: «WEEK END LETTERARIO»

         
    
NOTIZIARIO DI PENNA D'AUTORE 2010 - Numero 4


UNA GRANDE OPPORTUNITÀ DA NON PERDERE
14-15-16- MAGGIO: «WEEK END LETTERARIO»
Visite previste: Salone del libro - Sacra Sindone - Mole Antonelliana - Museo del Cinema

In occasione della 23ª edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino, Penna d'Autore organizza il suo quarto WEEK END LETTERARIO. Il gruppo dei turisti sarà seguito come sempre dai nostri più stretti collaboratori, che avranno il compito di accoglierli e di far visitare loro i luoghi di grande interesse culturale della città. Quest'anno, poi, c'è il grande evento dell'Ostensione della Sacra Sindone, per cui proponiamo questo pacchetto: visita al Salone del Libro, alla Mole Antonelliana, al Museo del Cinema e alla Sacra Sindone. Il programma prevede anche un incontro salottiero con il gruppo di poeti e scrittori torinesi, con la possibilità che tutti possano leggere un paio di poesie e far conoscere  la loro attività letteraria. Il week end si concluderà domenica 16 maggio con la premiazione ufficiale del «Trofeo Penna d'Autore».
Le prenotazioni dovranno pervenire entro il 15-03-2010 seguendo le indicazioni riportate dal programma del WEEK END LETTERARIO. Affrettatevi: i posti sono limitati ad un massimo di 20 persone.

La premiazione verrà effettuata nel cuore della diocesi Salesiana: VALDOCCO
TROFEO PENNA D'AUTORE

Una bellissima notizia. Quest'anno la cerimonia conclusiva del Premio Letterario Internazionale «Trofeo Penna d'Autore» si terrà presso la Casa Madre dei Salesiani nel cuore del Primo Oratorio di Don Bosco: il Teatro Valdocco. Grazie a questa opportunità gli autori che hanno aderito al concorso potranno conoscere da vicino la storia dei Salesiani, visitare la Basilica di Maria Ausiliatrice, le camerette di Don Bosco, la Cappella Pinardi, la Chiesa di San Francesco di Sales e tante altre cose interessanti della storia dei Salesiani. L'ingresso al Teatro Valdocco è libero a tutti i partecipanti.
Con il prossimo Notiziario verranno comunicati i nomi dei 10 finalisti di ogni sezione che entreranno a far parte della ristretta rosa dei finalisti.


CINQUE GIORNI DI PROROGA PER USUFRUIRE DELL'OFFERTA PUBBLICITARIA
RIVISTA LIBRO DEL PREMIO

C'è ancora tempo fino al 20 febbraio per richiedere uno spazio pubblicitario "low cost" per il proprio libro. Grazie a questo nuovo prodotto editoriale Penna d'Autore dà maggiore visibilità alle opere che hanno aderito alla manifestazione presentandole con l'immagine di copertina e un breve commento. Aderendo all'iniziativa sarà possibile usufruire di un particolare tipo di bonus: il link allo stesso libro già inserito nella Biblioteca di Penna d'Autore. Per maggiori informazioni vedere il CAMPIONE PUBBLICITARIO; lo spazio deve essere richiesto tramite questo MODULO.



La Voce del Poeta
Riproponiamo ai numerosissimi poeti che sono iscritti alla nostra mailing list la possibilità di confezionare un loro Album di Poesie da inserire nella collana «La Voce del Poeta». Le poesie sono recitate dalla équipe di dicitori di Penna d'Autore e supportate da una base musicale adeguata al testo. Ogni Album di Poesie viene curato sotto ogni suo aspetto ed è registrato alla SIAE che tutela in maniera univoca i diritti degli autori. Il lavoro viene completato con la presentazione di una poesia di ogni poeta, che può essere ascoltata dal pubblico scegliendola dall'ARCHIVIO.
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Chi desidera richiedere un «Album di Poesie» deve inviare 20 liriche tratte dalla sua raccolta personale all'indirizzo di posta elettronica ali@pennadautore.it, o per posta in forma cartacea all'A.L.I. Penna d'Autore - Casella Postale, 2242 - 10151 Torino.
Il costo per ricevere 10 Album di Poesie è di 190,00 euro.
I Poeti interessati sono invitati a leggere le MODALITÀ DI PARTECIPAZIONE.


OFFERTA EDITORIALE PER POETI E SCRITTORI EMERGENTI
Collana di Poesia, Narrativa, Saggistica
Penna d'Autore mantiene viva questa iniziativa al fine di soddisfare la richiesta dei numerosi poeti e scrittori, che desiderano pubblicare le loro opere in eleganti edizioni a prezzi contenuti. Le CARATTERISTICHE sono descritte nell'apposita pagina del nostro sito, con la possibilità di scegliere tra la versione con la rilegatura a punti e quella con la rilegatura in brossura. Le opere pubblicate nella Collana di Penna d'Autore vengono presentate nella Vetrina dei Libri, che dà la possibilità a tutti coloro che navigano in Internet di poter leggere le prime pagine e, se interessati all'acquisto, richiedere una o più copie del libro senza che noi dell'organizzazione ci prendiamo alcun utile. Nel 2010 il nostro catalogo si è arricchito con le seguenti opere: «Viole» (poesie di Rocchino Armento), «Alla ricerca del verso giusto» (poesie di Aldrigo Grassi), «Ancora luce tra i bastioni del tempo» (poesie di Massimo Bena), «Risveglio di Luce» (poesie di Antonio Basile), «L'Uomo e la sua Natura» (poesie di Angelo Ruggeri), «Quattro insoliti racconti» (racconti di Marco Magistri).
INFO: 349 0934037 (ore 15,30 - 20,00)


          

Il vescovo Riboldi al Premio Solofra


Caro alessandro mi permetto di inviarti queste 2 foto risalenti al 21 giugno 1980 , terza edizione del Premio Città di Solofra, nella sala consiliare ospitammo don Antonio Riboldi che cercava aiuti per i suoi terremotati, nel novembre dello stesso anno subimmo lo stesso tragico evento. il premio serviva anche a operare il bene.TRENT’ANNI DI POESIA

Ci sono avvenimenti che lasciano testimonianza nella Storia di una nazione partendo dalla modesta realtà locale. Il terremoto nel Belice, nel 1968 vide protagonista un vescovo, Mons. Antonio Riboldi, che per primo denunciò la Mafia in quella parte della Sicilia. Vive ancora oggi sotto scorta e annuncia la Parola del Vangelo dalle pagine del Web e sul sito di FaraEditore. L’abbiamo incontrato di nuovo via internet.

Trent’anni fa, il 21 giugno 1980, don Riboldi fu ospite alla terza edizione del Premio Nazionale Biennale di Poesia “Città di Solofra”, partecipando alla premiazione, consegnando personalmente i premi e diffondendo parole di coraggio per quanti lottavano, anche da noi, contro la criminalità legata alla politica degli affari. Dove c’è denaro c’è l’omicidio e l’immoralità. Dove c’è Cultura luminosa è la fiaccola morale per aprire le menti alla conoscenza civile.
Il Premio Nazionale Biennale di Poesia “Città di Solofra” è stato, per ben trent’anni, la palestra dove si sono avvicendati piccoli e grandi menti, offrendosi al confronto leale senza nessuna superbia. Le Antologie del Premio, delle quali la prima reca la firma del grande critico letterario don Michele Ricciardelli, sono diffuse in tutte le scuole e nelle migliori biblioteche d’Italia, oltre che nelle case dei giovani e giovanissimi poeti italiani.
Nel nuovo incontro salutiamo dalle pagine del nostro mensile il vescovo don Antonio Riboldi, promotore di riscatto sociale e portatore della Parola che fa vivere.
dr. Vincenzo D’Alessio G.C.F.Guarini

giovedì 11 febbraio 2010

Fragile su «Il Cittadino di Monza» 11-2-2010

articolo intervista a Laura Bonalumi

fragile

"e le salite e le discese..." news da La Paz

Da: barbara magalotti
Data: Thu, 11 Feb 2010 14:17:29 +0000

Carissimi, è da almeno una settimana che cerco un momento per scrivervi e raccontarvi quello che mi succede da questa parte dell’oceano e dell’equatore… ma le giornate sono talmente intense e chiaramente piene di imprevisti, che arrivo a sera e ho una gran voglia di mettermi il pigiama e rilassarmi con le mie immancabili patatine (il mio fegato me la farà pagare prima o poi!) e le mie rilassanti “schifezzine” da sgranocchiare davanti a un filmetto prima della nanna.

L’imprevisto piu’ inaspettato e sicuramente piu’ stressante: la casa che avevamo pensato di prendere in anticretico (quella di cui vi parlavo nell’ultima mail) purtroppo non ha i documenti in regola... Non mi azzardo certo a firmare un contratto da 25.000 dollari se non e’ tutto assolutamente chiaro e cristallino... Quindi, siamo punto e d’accapo per quanto riguarda la ricerca di una base per i volontari ... “BENISSIMO”!!! STRESSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSS!!!!


Oggi in carcere ho cucinato per una quindicina di detenuti, che mi hanno aiutato a turno nelle varie fasi della preparazione del pranzo. Niente di straordinario: salsicce, yuca e patate lesse, cavolfiore condito con formaggio e pangrattato al forno (“l’esperimento”, come l’ho definito con Ivan che mi chiedeva il nome della ricetta): un successo, stando ai loro commenti entusiasti (ma io lo so che le loro considerazioni volevano essere un cavalleresco complimento, per l’affetto che mi portano…). E’ veramente bello condividere questi momenti di quotidianità con questi uomini così speciali per me. Speciali, perché nonostante il loro essere dentro a quattro mura da anni, riescono a ridere e a scherzare continuamente, magari ironizzando anche della loro condizione di reclusi, e a trasmettere tanta vitalità. Una rara, preziosa vitalità. E come sempre, tagliando la verdura, grattando il formaggio, lavando i piatti con un filo d’acqua raccolta in una brocca gelosamente “custodita”, si chiacchiera, si discute, si fanno considerazioni sulla vita, sul destino, sulla giustizia e anche sul sesso e si condivide non solo “quel momento” ma anche i sogni, le speranze, le prospettive per il futuro. La tavola è apparecchiata con i pochi mezzi a disposizione: qualche cucchiaio un paio di forchette (le posate non bastano per tutti, e più della metà di noi mangia con le mani) piatti di tutte le forme e dimensioni, vecchi contenitori e coperchi di plastica saltano fuori a completare “i coperti” mancanti… “All’ataque!” Che bello! Tutti mangiano con gusto, apprezzando questo speciale “pane quotidiano” . E chiaramente anch’io, che per la foga e la velocità con cui fagocito yuca e patate mi faccio venire un mal di stomaco da paura… Angel e Windsor mi preparano un mate de coca e con una tenerezza che mi commuove mi assicurano “Te vas a mejorar Barbara. No te preocupes, el dolor va a pasar pronto!” e Windsor aggiunge con la faccia preoccupata “Anche l’altro giorno avevi mal di stomaco. Perché non vai a farti visitare da un buon medico?”… mi sono sentita coccolata e contenuta da questi “omacci brutti e cattivi”, tanto speciali per me...


Periodo molto intenso e come sempre pieno di incontri interessanti. Qualche settimana fa siamo stati in visita presso le strutture produttive dell’associazione “Libertarios”. Facciamo il giro insieme a Ivan e Johnatan. Ivan è un ex detenuto della associazione “Libertarios” e Johnatan un imprenditore boliviano che sta investendo i suoi capitali nella realizzazione di diverse attività agro alimentari nella zona dell’altipiano vicino a La Paz. Prendiamo la camionetta e ci dirigiamo verso l’altipiano. Johnatan ha messo in piedi un allevamento di 250 galline per la produzione di uova, una serra per la coltivazione di insalata e ortaggi (questa area di attività è in espansione) e sta finanziando la costruzione di una panetteria dove si sforneranno per il momento solo “marraquetas”, un pane molto buono tipico della zona di La Paz. Tutti i prodotti vengono portati al mercato agricolo una o due volte alla settimana per essere venduti, e per il momento ci stanno lavorando solo due persone. In realtà Johnatan ci dice che paradossalmente quello che manca è la mano d’opera. E lui è disponibile a dare lavoro ad almeno altre 5 persone nell’area “coltivazione” e allevamento. Inoltre sta sperimentando la possibilità di allevare porcellini d’india (per consumo alimentare) e produrre uova di gallina fecondate per la vendita di pulcini. Un altro obiettivo di Johnatan è quello della produzione del mangime per le galline e gli altri animali da allevamento grazie all’acquisto di una macchina per la miscelazione dei vari ingredienti. Il mangime sarebbe utilizzato sia per gli animali dell’azienda, sia per essere venduto. Un’altra area produttiva è costituita dalla falegnameria, presso la quale lavorano già 5 operai, tutti ex detenuti. Il lavoro è ancora saltuario, ma i ragazzi cominciano a farsi conoscere e a ricevere varie richieste. Juan Carlos è il “mastro carpintero” (il maestro falegname), colui che ha cominciato tutta l’impresa. Lui e altri 2 ex detenuti sono partiti veramente da zero: qualche strumento rimediato con i primi guadagni derivanti dalla vendita di piccoli oggetti di artigianato. Ogni macchinario presente oggi all’interno della falegnameria è stato “sudato”, fortemente voluto, acquistato anche a costo di non essere sicuri di arrivare alla fine del mese . Poi finalmente il Regimen Penitenciario ha donato ai “Libertarios” una macchina per tagliare il legno su misura. Ora il grande sogno di Juan Carlos è quello di poter acquistare un forno per l’essicazione del legname: questo gli permetterebbe di poter realizzare molto più lavoro in minor tempo e poter accettare più richieste. Il fatto di dover attendere i tempi di essicazione del legno umido infatti, porta via molto lavoro, al quale devono rinunciare loro malgrado. Parliamo della possibilità di collaborare nell’obiettivo di aiutare gli ex detenuti nel loro percorso di reinserimento socio-lavorativo. Rinnovo la nostra disponibilità a offrire uno spazio di incontro per i Libertarios e quando in un futuro saremo in grado di acquistare una casa, anche la disponibilità ad ospitare per un periodo determinato, ex detenuti in uscita dal carcere. Johnatan mi ribadisce la sua disponibilità a dare lavoro a ex detenuti nelle varie attività produttive e Ivan mi chiede di essere il “gancio” all’interno del San Pedro, per individuare persone che veramente abbiano intenzione di “cambiare vita” una volta uscite dal carcere. Sento che sarà un buon inizio!

Domenica scorsa ho fatto una lunga chiacchierata con Miguel Angel, davanti ad una tazza di caffe’ bollente e una fetta di torta. Un po’ meno chic della “Colazione da Tiffany”…. ma una “Colazione da Mikey” ricca di scambi importantissimi. Una delle più belle colazioni degli ultimi 40 anni! Ho voluto prendermi un momento per parlare con lui, per dirgli che purtroppo i piani rispetto a “Casa Solidaria” sono cambiati e attualmente, visto che non abbiamo soldi sufficienti per comprare una casa, non avremo la possibilità di ospitare ex detenuti se prenderemo in anticretico un appartamento. Non siamo ancora organizzati sufficientemente per affrontare l’ospitalità e la responsabilità della gestione di una casa di accoglienza di questo genere. Ho fatto molta fatica a dirgli questa cosa, ma gliela dovevo dire, per evitare che si creasse aspettative che poi probabilmente sarebbero state disattese… mentre gli parlavo mi stringevo le mani, avevo un groviglio di nervi nello stomaco e i sensi di colpa che mi ribaltavano… Miguel mi ascolta molto attentamente e poi, sorprendendomi come sempre (come questi uomini così speciali riescono a fare), mi dà il suo consenso: capisce perfettamente i miei timori e mi dà ragione. Mi dice che faccio bene a non fidarmi, perché come “la carne è debole”, così per un detenuto che esce dopo tanti anni, anche altri tipi di tentazione sono molto forti e probabili. “Te lo dico contro il mio interesse, ma credo che tu faccia bene a fare un passo alla volta. Soprattutto se non sei qui sempre e non puoi seguire il progetto in maniera continua, di persona.” Gli parlo della possibilità di trovare una attività commerciale, magari se ci riusciamo, un altro anticretico per un locale che possa diventare un hostal, un ristorante, o qualcosa del genere. “Cara Barbara, sono contento che ne parliamo. Sai, uno come me che sta dentro per tanti anni (e ormai son più di 10 che vivo tra queste quattro mura) comincia ad aver paura di quello che sarà della sua vita una volta fuori. Comincia a vedere fantasmi, mostri terribili, comincia a disperare, a pensare che non ce la può fare. Sapere che c’è qualcuno che anche solo si preoccupa di capirmi, di darmi una mano per quello che può, per me è un sostegno enorme. Ed è importante parlare chiaramente di quelle che sono le reali possibilità, di quello che concretamente posso sperare di realizzare.” Lo guardo mentre mi parla col cuore in mano e penso che questa persona mi sia più amica di tanta altra gente. E’ una sensazione così forte che per un attimo mi sento pervasa dal senso e del valore dell’amicizia e del rispetto. Gli parlo dei “Libertarios” e della possibilità concreta che questo gruppo di ex-detenuti possono dare a los “hermanos recien salidos de las carceles” e Miguel mi comunica il suo interesse per il lavoro nell’allevamento di galline e che sapere che esiste questa possibilità gli dà una buona dose di fiducia nell’affrontare questi ultimi mesi di reclusione.
Parliamo per circa tre ore senza pause… il tempo vola, pieno e intenso, leggero e sereno… suona la campana del rancio e lascio Miguel che mi abbraccia forte, con la sua scodella di plastica in mano , un sorriso sincero, uno sguardo sereno e "complice"... amico.

Vorrei raccontarvi tante cose… tutte le cose che sono successe, tutti gli incontri che ho fatto; vorrei comunicarvi i miei stati d’animo, “le salite e le discese” di energia e di fiducia… ma di una cosa vi voglio far partecipi: la mia decisione e determinazione a mettere le radici della nostra associazione qui in Bolivia. La stanchezza che mi prende è la normale conseguenza dell’impegno totale che sto dedicando giorno e notte al sogno, al progetto “Casa Solidaria” che sta colorando questa mia vita dei colori più intensi. Certe volte Mirco mi dice “Basta Barbara, pensi troppo! Parli solo di lavoro! ” … saranno i suoi 20 anni e i mei 42 a darci una diversa percezione della responsabilità individuale?... o forse ha ragione, dovrei concedermi delle pause, dei momenti di “goliardico divertimento”… ma è più forte di me. E’ da un mese che sogno di andare 2 o 3 giorni in Yungas o al Lago Titicaca a riposare, immersa nel silenzio... ma ogni giorno mi sembra pieno di cose assolutamente importanti da fare... E’ come se dentro sentissi una corrente di energia che mi trasporta e mi ricorda che ogni attimo della mia vita è strettamente interconnessa, legata visceralmente con quello che mi circonda… e non riesco a fare a meno di usare il mio tempo, tutto il mio tempo, per dare e condividere tutto quello che posso, meglio che posso… anche se sbaglio, anche se è poco, anche se è un granello di sabbia di fronte ad una montagna di possibilità… Ogni passo che muovo è collegato con il successivo. Propio come i passi di una lunga danza… e per il momento non riesco a fermarmi!
Vi abbraccio uno per uno con calore e grande gioia di vivere… nonostante la stanchezza e la mia schizzatissima sclero!!!
La vostra Barbaridad

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Il valore della poesia: intervista a Vincenzo D’Alessio

a cura di Antonietta Gnerre

Sulla poesia e sui poeti non si termina mai di pensare, di riflettere, di registrare quella luce che modella tutte le cose.

La “poesia apre all’altro, all’ascolto, al tu” scrive Bruno Forte. Mentre per Mario Luzi la poesia vola alta come nella riflessioni tratta da Per il battesimo dei nostri frammenti : “Vola alta, parola, cresci in profondità / Tocca nadir e zenith / Della tua significazione”. Ne parliamo con Vincenzo D’Alessio, italianista, scrittore, poeta, storico e direttore del Gruppo Culturale Guarini (nella foto a lato è a sinistra, a destra Giorgio Barberi Sqarotti)

Per Vincenzo d’Alessio cosa rappresenta la poesia?  
La lingua e la letteratura della libertà.

La raccolta più importante della sua produzione?
Lo Scoglio, perché ha rappresentato la svolta della mia esistenza.

La condizione del poeta in questa società?
Il poeta è un emarginato con le pezze sul sedere.

Con lo sguardo dei valori di ieri, cosa c’è da augurarsi per i figli che crescono in questo periodo della storia?
Che attingano sempre alla memoria collettiva dei propri antenati (nonni, padri e madri).

L’importanza di comunicare oggi attraverso il web.
Comunicare attraverso il web è come per l’era di Marconi del primo telegrafo.

“Il desiderio di esprimere il nostro pensiero e di capire il pensiero altrui è amore. E il tentativo di esprimere le verità che solo si intuiscono le fa trovare a noi e agli altri. Perciò esser maestro, esser sacerdote, esser cristiano, essere artista, essere amante e essere amato sono in pratica la stessa cosa” scriveva don Milani…
Le difficoltà di don Milani e della scuola non sono tramontate nel nostro paese votato al desiderio del bene proprio ignorando l’identità degli altri.

La poesia è “ avventura verso l’ignoto” ricerca aperta e scavo infinito, cui il poeta s’abbandona…
Oggi la poesia ha un ruolo importante: svegliare i sordi e far parlare i muti, in senso civile.

News da Marco Guzzi: c'è bisogno di modelli

Carissime amiche e carissimi amici,
l’essere umano ha sempre avuto bisogno di modelli da imitare, anzi si può dire che le culture storiche si formino proprio attraverso l’imitazione di specifici modelli di umanità.

L’antropologia ci insegna che gli uomini sono dominati da intensissimi desideri, che però spesso non hanno alcun oggetto predefinito. René Girard precisa: “Una volta che i loro bisogni naturali sono soddisfatti, gli uomini desiderano intensamente ma senza sapere con esattezza che cosa, dato che nessun istinto li guida”.
Da qui la necessità dell’imitazione.
Il bambino impara molto presto a desiderare ciò che gli adulti considerano importante, e ad imitarne il desiderio.
Il desiderio mimetico crea così i linguaggi e le culture.

Uno dei segni dell’esaurimento della nostra cultura occidentale è proprio che non possediamo più modelli di umanità da imitare, per cui i desideri dei nostri bambini non vengono più indirizzati verso l’imitazione di una qualche grandezza umana, e possono perciò scatenarsi tra gli oggetti del supermercato tecnologico ed il caleidoscopio accecante delle più varie, e spesso oscene e folli, immagini virtuali.
Se poi un gruppo di dodicenni violenta una coetanea tutti sembrano scandalizzarsi, quando non facciamo altro che educare i nostri bambini a credere che non ci sia più nessuno che valga la pena di imitare, se non forse qualche calciatore o ragazzina sculettante sul video, condannandoli così letteralmente a uscire dalla civiltà umana, e a divenire dei miseri, insaziabili e infelici, consumatori in-civili appunto.

In realtà noi umani abbiamo un bisogno straziante di imitare modelli che ci aiutino a diventare noi stessi. Chi, come i corifei delle culture postmoderne, pretende di non imitare nessuno, e di “farsi tutto da sé”, finisce irrimediabilmente per imitare il peggio dell’umano, quella galleria di mostriciattoli più o meno ributtanti che le televisioni continuano a propinarci giorno e notte, e di cui i giallognoli e acidi Simpson sono forse la rappresentazione più nobile e luminosa…
Così il postmoderno newyorkese o milanese finisce per farsi per davvero “tutto da sé”, self made man appunto, ma per farsi “tutto di merda”, come cantava amaramente Gaber una trentina d’anni fa.

Come possiamo allora ricostruire modelli umani credibili e affascinanti, dopo tutte le dissoluzioni, le contestazioni antiretoriche, e le perdite di ogni tipo di aura, proprie della modernità e del nichilismo?
Chi potrà essere l’Uomo Vero e la Vera Donna da imitare, mentre questo teatro di marionette, questo mondo di figurine d’altri tempi, già scadute e andate a male, precipita nel suo caos “liquido”, e cioè nel suo liquame fognario?
E’ come chiederci: quale cultura umana  saremo in grado di costruire sulla terra a partire dal XXI secolo, in questo terribile e affascinante spartiacque eonico?

Io credo che il nuovo modello umano da imitare, e quindi da diventare, si stia già formando in noi, e nasca da una sintesi inedita tra i caratteri più autentici della santità della tradizione cristiana e quelli più nobili propri dell’uomo moderno.

Il modello umano che si sta formando in noi è cioè un modello di nuova integrazione, di armonizzazione tra caratteri apparentemente opposti, quali la più ampia autonomia soggettiva e la più stretta inter-relazione non solo umana ma addirittura cosmica, la passività dell’ascolto e la creatività imprenditoriale, la libertà e l’obbedienza.

Questa nuova figura di umanità, per  limitarci ad un solo esempio, è perfettamente consapevole che lo scopo della vita è la libertà, la sempre più libera espressione del proprio essere, e che l’obbedienza è solo una virtù condizionata, utile cioè solo se finalizzata all’ampliamento delle sfere della nostra liberazione. Ma sa anche che una libertà intesa come sequela caotica dei propri capricci momentanei, e cioè svincolata dall’ob-audienza di ciò che di più profondo è in noi, non conduce affatto alla nostra realizzazione umana, ma all’abbrutimento e alla schiavitù.

Nel 2002 la Conferenza Italiana dei Superiori Maggiori (CISM) tenne a Collevalenza un convegno proprio sul possibile rilancio del concetto di santità, e mi chiese di svolgere un intervento introduttivo, una sorta di provocazione, che svolsi in 3 tesi, in cui appunto tentavo di coniugare il modello tradizionale di santità cristiana con i concetti moderni di autenticità e di auto-realizzazione.

Le 3 tesi/provocazioni erano queste:

1)    il santo è la persona più libera e più creativa che ci sia al mondo: la persona che realizza la propria sovranità rispetto ad ogni potere politico o religioso;
2)    il santo celebra e trans-figura tutta la vita terrena senza condannare alcun aspetto vitale;
3)    diventiamo santi guarendo da tutte le distorsioni e le dipendenze interiori, anche da quelle religiose: la santità è salute e salvezza sperimentate e condivise.

Potranno questo Uomo e questa Donna maggiormente integri divenire i nuovi modelli di umanità da imitare, e cioè i paradigmi di una nuova cultura planetaria?
Potrà l’integrità – che è pienezza umana, salute, creatività, pace, potenza, in base alla catena etimologica che dal greco solfos/olon, attraverso il latino salus, arriva fino a sano, salvo, integro appunto, health, holy, heilige, wohl, etc. – divenire il carattere principale del nuovo modello di umanità nascente?

Io credo di sì, io credo che questa umanità più integra e quindi più felice si stia già formando in noi, e che saprà conciliare e sintetizzare in forme nuove e inedite i grandi tesori della tradizione spirituale ebraico-cristiana, le grandi acquisizioni, anch’esse sostanzialmente evangeliche, della modernità, insieme agli straordinari insegnamenti che ci vengono da tutte le altre tradizioni culturali e spirituali della terra.

E non sarà questa una forma nuova e più radicale di imitazione dell’Uomo pienamente realizzato nella sua natura divina, e cioè di Imitatio Christi?

Per approfondire questi temi ho perciò inserito tra le Nuove Visioni del mio sito 
http://www.marcoguzzi.it/
la relazione che tenni a Collevalenza

Il potere di diventare santi


Potete inoltre trovare altri spunti nell’intervista che Antonella Gaetani mi ha fatto per Romasette.it, dopo l’incontro “Apocalittica allegria” che abbiamo tenuto a Roma il 28 gennaio, in collaborazione col Comune e con la Casa delle Letterature, e che ha avuto un grande successo di pubblico.
L’indirizzo è questo:

http://www.romasette.it/modules/news/article.php?storyid=5597

Domani poi, venerdì 12 febbraio, alle ore 17, a Roma, presso la Camera dei Deputati (info nel mio sito al link Conferenze), insieme a Maria Luisa Spaziani e a Donatella Bisutti, interverrò sul tema

Poesia e spiritualità


Mi permetto di indicarvi infine il nuovo canale che il sito dei nostri Gruppi Darsipace ha aperto su YouTube, dove potrete trovare tutti i Video che abbiamo prodotto per illustrare il nostro lavoro:

http://www.youtube.com/user/darsipace

Siete come sempre invitati, d’altronde, a frequentare e a partecipare direttamente al nostro sito con idee e commenti, ma anche proponendo post e contributi:

http://www.darsipace.it/

Grazie della vostra attenzione e tanti affettuosi auguri di avere in questo tormentato 2010 mille nuove idee, mille lampi nel buio della notte, mille sogni indomabili, come delfini che sfuggono  alla rete, ad ogni rete, zompando velocissimi verso l’aperto, e il largo, verso la libertà….

Marco Guzzi


mercoledì 10 febbraio 2010

Concorso i Picentini 31-5-2010

Concorso Di Narrativa e Fotografia
Rilanciare, salvaguardare e promuovere il territorio dei picentini attraverso un’iniziativa culturale che coinvolga gli studenti ma anche tutti coloro che si lasciano ispirare dalla bellezza di una terra ancora non completamente esplorata. E’ l’obiettivo della seconda edizione del Concorso internazionale di Narrativa e Fotografia Narrante “I PICENTINI”, l’iniziativa culturale itinerante nei centri del territorio picentino organizzata dal Club del Borgo Sieti Fenalc presieduto da MariaPia D’Acunto Tedesco (nella foto) e composto dai comuni di Acerno, Castiglione del Genovesi, Giffoni Sei Casali, Giffoni Valle Piana, Montecorvino Pugliano, Montecorvino Rovella, Olevano sul Tusciano, Pontecagnano Faiano, San Cipriano Picentino, San Mango Piemonte, l’assessorato provinciale alle Politiche Forestali, la Comunita’ Montana “Zona Monti Picentini“, Picentia Turismo e con il coordinamento della Pro Loco Monti Picentini e dell’associazione Kiwanis International.
Il tema scelto per la seconda edizione sarà “i borghi raccontano…” e si articola in due sezioni Narrativa e Fotografia narrante, alle quali possono partecipare singoli autori, singoli studenti o gruppi di alunni delle scuole secondarie di I e II grado organizzati con un docente referente. Alla giuria del concorso, che sarà presieduta per la sezione narrativa da Davide Rondoni e per la Fotografia da Massimo Bignardi, il compito di assegnare i premi per le due sezioni. Per la categoria adulti in palio un assegno da 2mila euro ed un buono di pernottamento nei picentini, mentre è un assegno di 500 euro il premio che andrà al vincitore della categoria scuole superiori.
La premiazione ufficiale delle opere finaliste, che devono pervenire entro il 31 MAGGIO 2010, si effettuerà nel mese di luglio o agosto e si svolgerà, a turno ogni anno, in uno dei comuni coinvolti, a partire dal comune di Giffoni Sei Casali, sede del Club del Borgo Sieti. “Contiamo parallelamente alla cerimonia finale di premiazione – ha aggiunto la presidente del concorso, Maria Pia D’Acunto, nel corso della conferenza stampa di presentazione stamani a Palazzo Sant’Agostino – di organizzare iniziative congiunte di promozione del territorio, ma anche culturali come incontri con autori di narrativa e poesia, mostre fotografiche e convegni.
L’intenzione del concorso è quello sollecitare la creatività dei fotografi ad una narrazione scandita in tempi distinti, ad una “serie” di sei immagini correlate al tema proposto, che sviluppi una frase, un pensiero preciso (che potrà essere espresso dal titolo della serie, ma anche taciuto). In estrema sintesi: una rinnovata necessità di narrare, ed immaginare, tramite i mezzi della macchina fotografica, la natura. Gli autori potranno trattare liberamente il tema, preferibilmente senza attenersi a finalità “documentarie”, ma secondo un’individuale interpretazione.
Il desiderio è quello di riscoprire una fotografia “narrante”, o una narrazione per immagini, non in nome di un formalistico passatismo, ma lasciando spazio all’esplorazione delle potenzialità allusive ed evocatrici del mezzo fotografico, anche nelle sue declinazioni digitali. In una provocazione: “perché non possiamo non dirci tutti figli di Camera Work”.
Il bando, che è consultabile sul sito www.concorsoipicentini.it, rientra nel progetto Natura e Sviluppo Misura 1.9 cofinanziato dalla Comunità Europea “Obiettivo Parco” e con il sostegno della SOGES, EUROFORM Atripalda, Parco Monte Regionale dei Picentini.

Art.1- Tema del concorso

I BORGHI RACCONTANO
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Indicazioni utili all'approccio del tema di concorso
Relative alla narrativa
"IL BORGO,tutela e valorizzazione del paesaggio come bene culturale e quindi come valore da tutelare. Un bel paesaggio può offrirci la possibilità di un diverso e migliore modo di vivere e pensare e,di prendersi cura e difendere un patrimonio collettivo in via di estinzione.La bellezza è armonia interiore.Tanti possono essere gli spunti di riflessione e i temi da trattare ..."
Il borgo, che appare ancora resistere al disastroso sviluppo metropolitano, si presenta alla nostra immaginazione quale luogo deputato a perpetuare, nel mistero dei suoi anfratti, tutte le antiche leggende, quelle mille storie affidate alla memoria sempre più labile delle generazioni cariche d'anni.
L'intenzione del concorso è quello sollecitare la creatività dei fotografi ad una narrazione scandita in tempi distinti, ad una "serie" di sei immagini correlate al tema proposto, che sviluppi una frase, un pensiero preciso (che potrà essere espresso dal titolo della serie, ma anche taciuto). In estrema sintesi: una rinnovata necessità di narrare, ed immaginare, tramite i mezzi della macchina fotografica, la natura.
Gli autori potranno trattare liberamente il tema, preferibilmente senza attenersi a finalità "documentarie", ma secondo un'individuale interpretazione. Il desiderio è quello di riscoprire una fotografia "narrante", o una narrazione per immagini, non in nome di un formalistico passatismo, ma lasciando spazio all'esplorazione delle potenzialità allusive ed evocatrici del mezzo fotografico, anche nelle sue declinazioni digitali. In una provocazione: "perché non possiamo non dirci tutti figli di Camera Work".
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Art 2.- Partecipanti e Sezioni del Concorso
a- La partecipazione al concorso si articola in due sezioni e due categorie:
- SEZIONE NARRATIVA
- SEZIONE FOTOGRAFIA narrante
- CATEGORIA ADULTI : aperta a tutti.
- CATEGORIA SCUOLE SUPERIORI : singoli studenti o gruppi di studenti appartenenti alla scuola secondaria di primo e secondo grado, organizzati entro le scuole con un docente referente.
2- Ogni autore, o classe di studenti, potrà partecipare ad entrambe le sezioni.
3- Sono esclusi dalla partecipazione al concorso i soci del CLUB DEL BORGO, i dipendenti della Comunità Montana e quelli dei Comuni Picentini, .

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Art.3- Modalità di partecipazione
a- I partecipanti potranno concorrere inviando:
Per la SEZIONE NARRATIVA: non più di DIECI (10) cartelle di testo, su formato A4, carattere: New Roman, dimensione: 12 pt. (allegando eventualmente la traduzione per opere non in lingua italiana).
Per la SEZIONE FOTOGRAFIA: una serie di sei immagini, in bianco e nero o a colori, in tecnica tradizionale (analogica) o digitale. È ammessa l'elaborazione digitale delle immagini.
b-Sono ammesse al Concorso solo opere narrative e fotografiche inedite, non premiate o segnalate in altri concorsi.
c-non saranno ammesse opere fuori tema.
d- I partecipanti nella categoria ADULTI dovranno inviare obbligatoriamente:
- il modulo di iscrizione al concorso (vedi sotto) debitamente compilato e sottoscritto, anche relativamente al consenso al trattamento dei dati personali;
- un curriculum vitae, con particolare indicazione delle esperienze in campo letterario e/o fotografico, partecipazioni a mostre, etc. (destinato esclusivamente a conoscere il profilo del partecipante, ma del tutto ininfluente rispetto alla valutazione delle immagini inviate);
- una fotocopia (non autenticata) di un documento d'identità valido;
- SEZIONE NARRATIVA: l lavori in cinque copie stampate, di cui una soltanto debitamente firmata e corredata di nome e cognome dell'autore.
- SEZIONE FOTOGRAFIA: le stampe degli scatti realizzati in formato 20x30 cm (sono ammesse stampe su carta fotografica, ma anche stampe laser o inkjet purché di alta qualità), sul cui retro dovranno indicare il proprio nome e cognome, luogo e anno dello scatto, titolo della serie di appartenenza ed eventuale titolo dello scatto; INOLTRE dovranno inviare: un CD-ROM (leggibile sia da sistemi MacOS sia da sistemi Windows) contenente le immagini in file digitali di alta qualità (formati *.jpeg, *.gif, *.bmp, *.tif ).
e- I partecipanti nella categoria scuole superiori dovranno inviare obbligatoriamente:
- il modulo di iscrizione al concorso (vedi sotto) debitamente compilato e sottoscritto, anche relativamente al consenso al trattamento dei dati personali, da parte del docente referente;
- l'elenco degli studenti (riportante esclusivamente cognome e nome) della classe o gruppo partecipante al concorso;
- una fotocopia (non autenticata) di un documento d'identità valido del docente referente;
- SEZIONE NARRATIVA: l lavori in cinque copie stampate, di cui una soltanto debitamente firmata e corredata di nome e cognome dell'autore.
- SEZIONE FOTOGRAFIA: le stampe degli scatti realizzati in formato 20x30 cm (sono ammesse stampe su carta fotografica, ma anche stampe laser o inkjet purché di alta qualità), sul cui retro dovranno indicare il proprio nome e cognome, luogo e anno dello scatto, titolo della serie di appartenenza ed eventuale titolo dello scatto; INOLTRE dovranno inviare: un CD-ROM (leggibile sia da sistemi MacOS sia da sistemi Windows) contenente le immagini in file digitali di alta qualità (formati *.jpeg, *.gif, *.bmp, *.tif ).
f- Le stampe delle immagini non dovranno essere montate su alcun tipo di supporto.
g-L'invio del modulo di iscrizione al concorso, debitamente sottoscritto, implica piena conoscenza ed incondizionata accettazione del presente Regolamento.
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Art-4 Scadenza e modalità di consegna dei materiali
Il plico contenente i materiali dovrà essere inviato a:Concorso internazionale di narrativa e fotografia narrante"I PICENTINI"c/o archivio e protocollo comune di Giffoni SEI casali entro le ore 13 del 31 MAGGIO 2010: in caso di spedizione farà fede la data del timbro postale. Sede, orari e recapiti della segreteria :dalle ore 9-13 e dalle 15 alle19.

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Art-5 - Cause di inammissibilità alla partecipazione
Non saranno in ogni caso prese in considerazione le iscrizioni al concorso:
- non sottoscritte ove richiesto (informativa sulla privacy compresa);
- pervenute o spedite oltre il 31 MAGGIO 2010 (farà fede il timbro postale);
- non accompagnate dal modulo allegato al presente Bando oppure con modulo non compilato correttamente in ogni sua parte;
- non corredate della documentazione obbligatoriamente richiesta o corredate di documentazione non conforme alle indicazioni fornite dal presente Bando;
- da parte di soggetti che non possiedano i requisiti di cui all'art. 2/c.
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Art.6- Premi
a- I premi sono così stabiliti per le due sezioni:
Categoria ADULTI
I vincitori del concorso riceveranno un assegno del valore di euro 2.000,00 ed un buono di pernottamento gratuito,e l'eventuale pubblicazione.
La giuria del concorso ha istituito il premio speciale alla memoria "GIUSEPPE TEDESCO".
Categoria SCUOLE SUPERIORI
I vincitori del concorso riceveranno un assegno del valore di euro 400,00 ed un buono di pernottamento gratuito.
b-La Giuria e il comitato del club del borgo si riservano di rilasciare
una menzione speciale ed un premio aggiuntivo a due alunni delle scuole secondarie di 1° e 2° site nel territorio dei picentini.
c-Il comitato del club del borgo Sieti si riserva di scegliere alcune opere ,tra le prime dieci selezionate dalla giuria,senza che ciò comporti alcun preavviso nè il riconoscimento di alcun diritto per gli autori se non la loro citazione nell'antologia.
d- I vincitori dei premi saranno resi noti a mezzo pubblicazione di avviso sui siti del concorso e del CLUB DEL BORGO. I vincitori saranno altresì personalmente informati dalla segreteria del premio.
e- I premi dovranno essere ritirati personalmente, pena la decadenza.
f- La premiazione ufficiale delle opere finaliste, e l'assegnazione del Premio I PICENTINI avverrà entro la prima decade di giugno 2010 per la sezione giovani.e nel mese di luglio o agosto per la sezione adulti.
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Art-7- La Collezione del Concorso I PICENTINI
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Art. 8- Giuria
a- La Giuria del Concorso, suddivisa nelle due sezioni, NARRATIVA e FOTOGRAFIA, sarà composta da una commissione di cinque esperti per ogni sezione presieduta daL PRESIDENTE DEL PREMIO E DAL PRESIDENTE DI GIURIA
Massimo Bignardi sezione" fotografia narrante"
b Alla Giuria è riservato il diritto - a suo insindacabile giudizio, di cui fornirà comunque motivazione - di ridefinire le opere finaliste e il premio del tutto o in parte.
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Art. 9 - Condizioni relative al materiale inviato e alle immagini, utilizzo e diritti di proprietà intellettuale
a-La proprietà intellettuale dei testi e delle immagini, ed i conseguenti diritti, restano agli autori, fatto salvo quanto di seguito indicato e fermo restando il rispetto dei diritti conferiti al CLUB DEL BORGO. Il partecipante garantisce di essere unico ed esclusivo autore dei testi e delle immagini inviate e che i testi e le immagini inviate sono nuove, originali, inedite e non sono in corso di pubblicazione.
b- L'autore garantisce (e si impegna a tenere indenne il CLUB DEL BORGO contro eventuali pretese di terzi al riguardo) che i materiali, i testi e le immagini, e i relativi diritti che l'autore conferisce al CLUB DEL BORGO, non ledono alcun diritto di terzi e che, pertanto, per le immagini che ritraggono persone e/o cose per le quali è necessario ottenere uno specifico assenso, l'autore ha ottenuto l'assenso necessario (anche, ove dovuto, ai sensi del d. lgs. n. 196/2003, "Codice in materia di protezione dei dati personali") per la partecipazione al presente concorso e per il conferimento al CLUB DEL BORGO dei diritti di cui al presente Regolamento e, in particolare, di cui al presente articolo 9.
c- Il testo narrativo e la serie di immagini vincitricidel concorso
saranno pubblicati in un catalogo edito in occasione della premiazione. Le immagini premiate nella SEZIONE FOTOGRAFIA - sia le stampe inviate per la partecipazione al Concorso sia loro riproduzioni - potranno poi essere utilizzate per l'allestimento di un'esposizione a contorno della premiazione.
d- Tutti i testi e le immagini inviate potranno essere liberamente utilizzate - esclusa ogni finalità di lucro - dal comitato del premio del CLUB DEL BORGO, senza limiti di tempo, per la produzione di materiale informativo, promozionale, editoriale, per la promozione delle iniziative istituzionali proprie o degli altri enti coinvolti e, in generale, per il perseguimento dei propri scopi istituzionali. L'autore verrà riconosciuto come tale secondo le forme d'uso utilizzate nella prassi corrente. I suddetti utilizzi da parte del comitato del premio del CLUB DEL BORGO saranno del tutto liberi e discrezionali, e l'autore non potrà esigere alcun compenso od avanzare qualsiasi altra pretesa.
e-Tutti i materiali inviati non verranno restituiti agli Autori e rimarranno di esclusiva proprietà del CLUB DEL BORGO ed a disposizione della Comunità Montana Picentina e dei Comuni coinvolti nell'organizzazione.

venerdì 5 febbraio 2010

Prendete il largo… (Vescovo Antonio Riboldi)

Omelia del giorno 7 Febbraio 2010


V Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)


Prendete il largo…

C'è una domanda che tante volte la gente rivolge ad un sacerdote o ai religiosi e religiose.

“Che cosa ci trovate di così attraente nell'abbracciare la vostra scelta di vita?”. Forse tanti rimangono stupiti dal 'nulla terrestre' che apparentemente si ha, seguendo Cristo che li ha scelti per Sé.

Non si può negare che la vita 'normale' abbia tanti aspetti significativi, dal potersi costruire una famiglia propria, avere una donna o un uomo da amare in modo unico e speciale, occasioni di affermazione e tante altre piccole o grandi gioie, che sono comunque sempre accompagnate dalla fatica e, a volte – o forse tante – da fallimenti in ogni campo che fanno soffrire.

Ma la risposta di chi è scelto da Dio per Sé nella vita sacerdotale o religiosa è una sola: “Chi mi attrae, non è il prestigio o il successo, non un amore umano, è Gesù, la Persona più desiderabile che si possa incontrare nella vita. Una Persona che offre semplicemente il Suo Amore, perché ne facciamo dono ai fratelli, come unico Bene. È un Bene tanto grande che, se accolto con tutta la generosità possibile, fa sparire tutti gli altri 'beni'.”

Difficile forse decifrare il cielo che passa negli occhi di chi Dio ha scelto e chiamato a seguirLo, a starGli vicino. Difficile spiegare ciò che si vive, quando ci si fa prendere totalmente da questo Amore. È come voler spiegare il Paradiso.

L'evangelista Luca oggi ci descrive minuziosamente la chiamata di Pietro: una chiamata fondamentale per la vita della Chiesa. Una chiamata che nel tempo mostrerà generosità, totalità nel darsi, ma anche fallimenti, e, dopo la Pentecoste, la capacità di divenire addirittura l'Apostolo che si prende carico di fondare e diffondere la Chiesa. Una generosità che arriva a noi oggi con la gioia, che dovrebbe essere la caratteristica che ci distingue come cristiani, anche se a volte anche noi conosciamo difficoltà e 'fallimenti', che sono la realtà di chi ama e vuole donarsi.

Racconta il Vangelo: In quel tempo, mentre Gesù, levato in piedi, stava presso il lago di Genezareth e la folla gli faceva ressa intorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù vide due barche ormeggiate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì su una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedutosi, si mise ad ammaestrare le folle dalla barca. Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: 'Prendi il largo, e calate le reti per la pesca.'
Simone rispose: 'Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla, ma sulla tua parola getterò le reti. E avendolo fatto presero una quantità enorme di pesci e le reti si rompevano.
 

Pietro aveva faticato inutilmente, per ore, sul lago di Tiberiade, che conosceva palmo a palmo, ma era tornato a mani vuote, il che significa anche... frustrazione per la propria incapacità!

Eppure di fronte al Maestro questo uomo così stanco e deluso... non fa obiezioni!
Riprende il largo e dà piena fiducia a Gesù, che lo invita a riprovare, come sfidandolo sul piano delle sue competenze professionali. Obbedisce con le disarmanti parole che rivelano il suo cuore semplice e la sua fiducia senza limiti: Sulla Tua parola getterò le reti!

Per me è stupendo questo atteggiamento di Pietro.

Aveva mille ed una ragione per essere furibondo con sé stesso, con il mare di Galilea, e quindi scettico verso qualsiasi speranza di soluzione, perché per lui, trovarsi a mani vuote dopo una notte di grande fatica, era come avere perso, non solo le forze fisiche, ma la fiducia in se stesso... è come sentirsi rotte le gambe.
Ma Pietro supera sé stesso e, con la docilità di un bambino, fidandosi della parola di Uno, che forse conosceva appena di vista o di fama, e con il quale, forse, non aveva ancora familiarità, torna in mare con i suoi, avventurandosi al largo, dove davvero si misurano capacità, fede e coraggio.

E presero una quantità enorme di pesci che le reti si spezzavano.

Un fatto che intacca la dura scorza del pescatore.

Allora fecero cenno ai compagni dell'altra barca che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche al punto che quasi affondavano. Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: 'Signore, allontanati da me che sono un peccatore'. Grande infatti era lo stupore che aveva preso lui e tutti quelli che erano insieme con lui per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo, Giovanni, figli di Zebedeo che erano soci di Simone. Ma Gesù disse a Simone: 'Non temere, d'ora in poi sarai pescatore di uomini'. Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono. (Lc. 5, 1-11)

Quella di Pietro sul lago è la storia di tutti, a cominciare da quelli che Dio ha chiamato a diventare pescatori di uomini. È la storia di ogni battezzato, chiamato da Gesù, nel Battesimo e nella Cresima, a seguirlo e quindi invitato a 'gettare le reti al largo'.

Il risultato – e questa è la bellezza della nostra missione – non dipende dalle nostre capacità, ma dalla fede nella Sua Parola. A volte chiamati a stare vicini a Lui nella preghiera, sempre invitati a prendere il largo, con fiducia in Lui, conoscendo le nostre debolezze.

Siamo tentati a volte e come scoraggiati nel gettare le nostre reti in questo mondo, diventato un mare inquinato da mille veleni, dove sembra difficile sopravviva, almeno così ci pare, ogni forma di 'vita vera', di Presenza di Dio.

Eppure occorre la piena fiducia di Pietro e gettare le reti, come sanno fare tanti.

Pensiamo alla mamma di S. Agostino, che pregò una vita intera perché il figlio tornasse alla Chiesa di Cristo. E non solo ottenne quanto chiedeva, ma Dio le diede di più: un figlio Vescovo.

Quante volte mi si confida: 'Non so più che cosa fare per mio marito, per i miei figli, per riportarli a quella bontà e fede su cui da tempo era fondata la mia famiglia'; oppure 'Con tutti gli sforzi, avrei voluto dare alla mia vita un indirizzo che mi portasse alla serenità interiore. Ma mi sento come una persona fallita'.

Un poco come si sentiva Pietro al rientro da una notte di fatica... senza aver pescato nulla!

Ma seguendo senza dubbi la parola di Gesù, può rientrare con la barca che... rischia di affondare per la quantità di pesce pescato!

È in questo momento che si rivela tutta la grandezza di Pietro.

Va da Gesù e si confessa: 'io sono peccatore', ossia 'un buono a nulla, se da solo'. È lo stato d'animo che fa strada alla conversione piena.

È consolante scoprire come Gesù, non solo lo incoraggia, ma addirittura gli indica la sua nuova missione: 'Sarai pescatore di uomini'. E Pietro va oltre: lasciò tutto e seguì Gesù.

È vero che oggi viviamo un tempo difficile. Fatichiamo e ci sembra di tornare sempre 'a mani vuote'. E si è spesso presi dalla sfiducia.

Diceva Paolo VI: Potremmo chiamare la presente perturbazione una crisi di fiducia, se la si considera negli animi nei quali scaturisce. Una sfiducia che percorre l'anima di non pochi.
Sfiducia a volte nella dottrina e nella tradizione e diventa crisi di fede. Sfiducia nelle strutture e nei metodi e diventa critica corrosiva. Sfiducia negli uomini e diventa tensione e disobbedienza. Sfiducia nella Chiesa quale è e diventa crisi di carità e facile ricorso al profano.
Gesù oggi ci dice: 'Uomo di poca fede perché dubiti?' e ci rammenta fino a quale grado noi possiamo spingere la nostra fiducia. Ricordiamolo sempre: Cristo è la nostra speranza e la nostra forza.

Ce lo ricorda anche l'Apostolo Paolo, di cui tutti conosciamo la conversione e l'entusiasmo nell'annuncio del Vangelo a tutte le genti, nonostante le infinite difficoltà e sofferenze sopportate, che avrebbero forse scoraggiato tanti di noi:

Io sono l'infimo degli apostoli e non sono nemmeno degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Cristo.
Per grazia di Dio sono quello che sono e la Sua grazia in me non è stata vana: anzi, ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la Grazia di Dio che è con me. (Cor. 15, 1-11)

Tutti, senza eccezioni, conosciamo momenti difficili, che possiamo attraversare nella quotidianità della vita, nella famiglia, nella fedeltà del matrimonio, nell'educazione dei figli, sul lavoro, nella società in cui sembra che nulla funzioni, nella stessa Chiesa, dove a volte i pastori vedono le loro fatiche annullate, i loro piani pastorali subire fallimenti, causando quel terribile pericolo che è lo scoraggiamento, da considerare una grave tentazione per un uomo di fede 'chiamato e mandato'.

Quando Paolo VI mi pregò di accettare il mandato di vescovo, lo accettai per la grande fiducia che lui aveva in me. La Chiesa di Acerra, per non so quali motivi, era senza vescovo residenziale da ben 12 anni, affidata ad un Ausiliare della Diocesi di Napoli, che veniva quando poteva.
Davvero era un gregge senza pastore e, per di più, un territorio tremendamente tenuto sotto pressione dalla camorra. Fui accolto molto bene. Cercai di affrontare le difficoltà, di mettere insieme un popolo che era senza guida, spargendo a larghe mani la fiducia.
E divenne, in breve, ritrovando sacerdoti e fedeli la fiducia, davvero una bella diocesi, che alla fine del mio mandato donò alla Chiesa due Vescovi.
Direi davvero che la nostra fede o, se volete, il nostro coraggio nella prova, nel superare insieme i momenti difficili, che sono per tutti, sostenuti dalla Grazia di Dio, ha dato i suoi frutti.
La misura del coraggio non è nel considerare la vita una bella 'discesa', ma una 'ripida salita' che porta alla 'porta stretta', ma molto in alto!

È ciò che prego per tutti oggi: tempo di coraggio, sentendoci sempre come Pietro 'peccatori', gente che senza la Grazia davvero è incapace anche solo di camminare, ma con la fiducia in Dio sa prendere il largo e gettare le reti.

Preghiamo:

Dio, non solamente confido in Te, ma non ho fiducia che in Te.

Donami dunque lo Spirito di abbandono,

per accettare le cose che non posso cambiare.

Donami anche lo Spirito di forza,

per cambiare le cose che posso cambiare.

Donami infine lo Spirito di saggezza,

per discernere ciò che dipende effettivamente da me

e poi... che io faccia solo la Tua santa volontà.



Antonio Riboldi – Vescovo

Internet: http://www.vescovoriboldi.it/

email: riboldi@tin.it