venerdì 25 febbraio 2011

Il 13 marzo: Trame fantastiche a Verona!

Nell’ambito di “Verona Tessile”, verrà presentata un’antologia di racconti fantastici ambientati in Veneto e imperniati sul tema del tessuto.

Dall’8 al 13 marzo, si svolgerà nella città scaligera “Verona Tessile – Le vie della seta si incontrano a Verona”, una manifestazione multiculturale organizzata dall’Associazione Ad Maiora che, da molti anni si occupa del recupero e della valorizzazione delle arti antiche e in particolare dell’arte tessile e del patchwork.
Obiettivo della manifestazione è di proporre alla città di Verona - importante crocevia di produzione e tintura della seta – e all’attenzione della cittadinanza, validi esempi in campo nazionale e internazionale di opere artistiche tradizionali e contemporanee realizzate soprattutto in seta.
Evento conclusivo della kermesse sarà la presentazione dell’antologia “Trame fantastiche”, (Delmiglio Editore) che si svolgerà domenica 13 marzo alle ore 17 nella Sala Vasche del Museo d’Arte Contemporanea di Palazzo Forti, a Verona.
Sono diciotto le penne che hanno contribuito a creare il mosaico di racconti del volume, sotto il segno della collana “Quaderni Indaco”, dedicata a storie intrise di mistero di ispirazione veneta.
Scrive Luca Crovi, autore dell’introduzione, a proposito della collana: “Probabilmente, se gli ideatori di una fortunata serie televisiva come “Ai confini della realtà” avessero dovuto cercare un colore speciale per le loro storie, forse avrebbero scelto proprio l’indaco per illuminare il “crepuscolo”. E quindi l’indaco è sembrato perfetto all’editore Emanuele Delmiglio per proporre a voi lettori una serie di volumi contenenti storie legate al fantastico. Storie in cui la realtà viene deformata a poco a poco da eventi strani, incredibili, allucinanti che spesso conducono i protagonisti su strade senza ritorno”.
Riguardo i racconti, scrive Claudio Gallo nella prefazione: “I racconti di questa antologia, giocando consapevolmente su queste ambivalenze, corrono veloci e leggeri a comporre una trama più grande che li rende originali e intriganti. Molti gli elementi comuni: l'Oriente lontano, la storia delle nostre terre, Venezia e Verona, simili e diverse nello stesso tempo, il mistero, l'inquietudine, la magia e un tocco di sovrannaturale. Un passo in avanti per comprendere i tratti caratteristici della collana Indaco, l'azzurro-violaceo che non sostituisce ma si fonde con il noir”.
Ecco i nomi degli autori: Maria Silvia Avanzato, Giuliana Borghesani, Rosa Tiziana Bruno, Melania Ceccarelli, Simona Cremonini, Emanuele Delmiglio, Federico Fuggini, Antonella Iannò, Arnaldo Liberati, Enrico Linaria, Maria Giovanna Luini, Enzo Macrì, Enrico Martini, Rossana Massa,  Andrea Mucciolo, Vittorio Rioda, Luca Sguazzardo, Francesco Troccoli.
Alla presentazione del libro parteciperanno l’editore, Claudio Gallo, autore della prefazione, e molti degli autori. Leggerà Sandra Ceriani, del Circolo dei Lettori di Verona.
Seguirà un rinfresco con degustazione dei vini della Cantina Villa Monteleone.

Per informazioni:   www.veronatessile.it - redazione@delmiglio.it

lunedì 21 febbraio 2011

Laboratorio di scrittura creativa interculturale

L'associazione Eks&Tra e il Dipartimento di Italianistica dell\'Università di Bologna comunicano che sono aperte fino al 20 marzo 2011 le iscrizioni al laboratorio di scrittura creativa interculturale. Il calendario degli incontri, i docenti, le modalità ed il modulo on line per l\'iscrizione sono sul sito www.eksetra.net 
Vi chiediamo gentilmente di diffondere la notizia. Grazie mille! Associazione Eks&Tra

INCONTRI DI LETTURA E DI LETTORI A TOLENTINO


Secondo appuntamento, martedì 22 Febbraio, degli “Incontri di lettura e di lettori”, rassegna intitolata quest’anno, “Labirinti metropolitani – Uno sguardo sul dedalo”, e curata come sempre da Marco Di Pasquale. Il primo libro di cui discutere in comune sarà L’uomo duplicato, del Premio Nobel per la Letteratura 1998 José Saramago.


Al centro del dibattito ci sarà questo che è uno degli ultimi romanzi del grande autore portoghese. Presente in molte delle sue opere come leit-motiv della narrazione, l’assurdo esplode in tutta la sua intensità ne L’uomo duplicato. Si tratta qui di un assurdo sotto forma di un alter ego, e cioè di colui che nel corso del racconto verrà definito ora come una “follia“, ora una “copia”, ma anche un’”assurdità”, un “doppio“, una “controfigura“,un “sosia“, un “siamese staccato”, un “ripetuto“, in parole povere il “ duplicato“ di un altro uomo. Il protagonista, Tertuliano Máximo Afonso, professore di storia in una scuola Media, si accorge, guardando un film in videocassetta, dell’esistenza di un suo “duplicato“. Si tratta di un uomo del tutto simile, anzi uguale a lui, l’attore António Claro. Il libro, fin dalle pagine iniziali, si sviluppa come un’opera cinematografica che ha nel finale una specie di rivelazione che non fa che confermare l’assurdo iniziale, però moltiplicandolo. Non può non tornare alla mente Il sosia di Fëdor Dostoevskij, ma in questo caso gli stessi elementi sono del tutto sparpagliati, retti comunque da una capacità di combinazione stilisticamente impeccabile. Una definizione lampante dell’Uomo duplicato viene dalle parole dello stesso Saramago: “sembrava un film di fantascienza, scritto, diretto e interpretato da cloni agli ordini di uno scienziato pazzo”.

Come sempre Marco Di Pasquale farà da catalizzatore e stimolatore degli spunti di riflessione provenienti da chi, avendo letto il libro o solo curioso di partecipare alla discussione, interverrà al laboratorio portando il proprio contributo critico e di riflessione.

Gli appuntamenti che si susseguiranno fino a Maggio (22 Marzo; 19 Aprile; 24 Maggio) sono aperti a chiunque voglia gustare un pomeriggio di dibattito e di scambio di opinioni e passioni letterarie.

Marco Di Pasquale

Concorso per fiabe (scade il 13 marzo 2011)

Premio letterario per fiabe 
“Angeli di San Giuliano”
Prima edizione
Associazione San Giuliano di Puglia, 31/10/2002 Onlus

Comune di San Giuliano di Puglia (CB)

fiabe e frane

L’Associazione “San Giuliano di Puglia 31/10/2002” e l’Amministrazione comunale di San Giuliano di Puglia, in collaborazione con il blog http://fiabeefrane.wordpress.com
indicono un concorso letterario per fiabe a tema libero.
Il concorso è aperto a tutti e si articola in tre sezioni e due categorie.
Le
sezioni sono le seguenti:
1. Autori dai 7 ai 12 anni;
2. Autori dai 13 ai 17 anni;
3. Autori maggiori di 18 anni.
Le fasce di età delle sezioni 1 e 2, sono considerate per millesimo, riferite all’anno solare (1 gennaio – 31 dicembre). Gli Autori della sezione 3, devono possedere l’età di 18 anni alla data del 13 marzo 2011. Coloro che compiranno i 18 anni nel periodo 14 marzo – 31 dicembre 2011, rientrano nella sezione 2.

Per le sezioni 1 e 2, abbiamo ulteriori due categorie:
A. Fiaba sviluppata dal singolo;
B. Fiaba sviluppata da due o più individui;
Per la sezione 1, è necessario che lo scritto sia compreso tra 3 e 4 cartelle. Per cartella s’intende un foglio formato A4, composto da un minimo di 30 e un massimo di 35 righe.
Per le sezioni 2 e 3, lo scritto deve essere compreso tra 4 e 6 cartelle.

I racconti dovranno essere inediti e rivolti ai bambini, privi di argomenti offensivi e aventi concetti indirizzati all’apprendimento in generale, alla valorizzazione dell’ambiente naturale, ai principi riguardanti l’onestà e il rispetto, alla consapevolezza dei limiti. Per ogni sezione di entrambe le categorie, saranno premiati i primi tre classificati con possibilità di “ex-aequo”.
La spedizione dei racconti tramite e.mail, dovrà pervenire entro il 13 marzo 2011; la proclamazione dei vincitori avverrà durante la cerimonia del 14 maggio 2011 presso San Giuliano di Puglia (CB).
Per partecipare al Premio letterario è necessario compilare il MODULO DI ADESIONE e l’eventuale MODULO DI CONSENSO, reperibili su questo blog alla pagina denominata “Modulistica premio”. Per i minori è obbligatorio il consenso dei genitori e la fotocopia di un loro documento d’identità.
Il testo del racconto e il modulo di adesione dovrà essere spedito in formato pdf, all’indirizzo: angelisangiuliano.fiabe@gmail.com.
Gli originali dei moduli di adesione e di consenso, debitamente compilati e firmati con allegata fotocopia di un documento d’identità, dovranno essere spediti in cartaceo, al seguente indirizzo:
Associazione San Giuliano di Puglia “31/10/2002” Onlus
via Roma, 1 – Villaggio temporaneo
86040 – San Giuliano di Puglia (CB)

Nel caso che a partecipare sia un’intera classe di una scuola o un numero consistente di alunni, sarà sufficiente che i moduli di ADESIONE PER SCOLARESCHE e di CONSENSO PER SCOLARESCHE, siano compilati dagli insegnanti responsabili del progetto che avranno, precedentemente, ricevuto i vari consensi dai genitori degli alunni partecipanti al Premio. Sarà, quindi, necessario allegare anche una DICHIARAZIONE DELL’INSEGNANTE RESPONSABILE, debitamente firmata, nella quale si rilevi che sono stati acquisiti i consensi dei genitori degli alunni partecipanti al Premio.
Per un riassunto della modulistica necessaria, e per le modalità di compilazione caso per caso, si prega di consultare il blog alla pagina “Modulistica premio”.

I vincitori saranno informati tramite posta elettronica; la comunicazione verrà inviata all’indirizzo di posta elettronica indicato nel modulo di adesione.
Le prime dieci fiabe classificate per ogni sezione, saranno pubblicate sul blog; ci riserviamo la possibilità di pubblicarle all’interno di una raccolta cartacea.
I diritti sulle fiabe restano in capo agli Autori che, comunque, concedono all’Associazione “San Giuliano di Puglia 31/10/2002” e a titolo gratuito, l’eventuale pubblicazione, sia via Web che cartacea.

Due tra le cinque fiabe prime classificate, potranno essere rappresentate in recitazioni teatrali, da parte di scolaresche di quarta o quinta elementare dell’Istituto “Jovine” di San Giuliano di Puglia.
La partecipazione al Premio letterario è gratuita e comporta l’accettazione di tutte le parti descritte nel presente bando. Il materiale ricevuto non verrà restituito.
Il trattamento dei dati viene effettuato, esclusivamente, ai fini inerenti il Premio letterario; i dati dei partecipanti non verranno comunicati o diffusi a terzi a qualsiasi titolo e potranno essere cancellati, previa richiesta.

Potete scaricare il testo in formato odt, cliccando su Premio Letterario formato odt oppure in formato pdf cliccando su Premio-Letterario formato pdf

venerdì 18 febbraio 2011

Un amore che non conosce ostacoli

Omelia del giorno 20 Febbraio 2011VII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

Per natura siamo sempre pronti a 'mitigare' la profondità ed ampiezza che Dio ha dato alle virtù, a cominciare dall'amore. Per la nostra natura così debole e limitata, ci lasciamo prendere dagli eventi e seguiamo le inclinazioni della nostra sensibilità o istintività, sempre pronte a cedere. Gesù non fa sconti, e non poteva farli, per la natura stessa delle virtù, che chiedono di 'andare oltre' le nostre passioni.

Il Vangelo di oggi offre alla nostra riflessione una delle pagine certamente più difficili da vivere, ma nello stesso tempo sono valori che distinguono noi, seguaci di Gesù, da chi non lo conosce o non lo segue.

Già nell'Antico Testamento Dio ci avverte tramite Mosè:

«Parla alla comunità degli Israeliti e ordina loro: 'Siate santi, poiché il Signore è Santo. Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello; rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai d'un peccato per lui. Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il prossimo tuo come te stesso. Io sono il Signore.» (Lv 1,17-18)

Gesù va oltre questa norma. Scrive l'evangelista Matteo:

«Gesù disse ai suoi discepoli: 'Avete udito ciò che fu detto: 'Occhio per occhio, dente per dente: ma Io vi dico, di non opporvi al malvagio; anzi se uno vi percuote la guancia destra, tu porgigli anche la sinistra; e a chi ti vuole chiamare in giudizio, per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringe a fare un miglio, tu fanne con lui due. Da' a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle.
Avete inteso che fu detto: 'Amerai il prossimo tuo e odierai il tuo nemico: ma Io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siete figli del Padre vostro celeste che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni e fa piovere sopra i giusti e gli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale merito ne avrete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date un saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Siate dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli.
Siate dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli.» (Mt 5,38-48)

Specchiamoci quindi sull'esempio del Padre nostro che è nei cieli. Se c'è Uno che non si è mai sognato di fare del male agli uomini, è proprio Dio, che ci ha creati per farci partecipi della Sua stessa Beatitudine.
E se c'è Uno che avrebbe tutte le ragioni per punire il male che riceve – le disubbidienze, le ribellioni, i rifiuti che continuamente ripetiamo con i peccati, l'indifferenza – sarebbe proprio e solo il Signore. Ma il Padre non si lascia fermare dai nostri rifiuti, resta – per nostra consolazione – fedele al Suo Amore. Non rinnega mai chi ha creato per amore, perché Lui, nella Sua Essenza, è Amore. Neppure ci abbandona quando noi Gli voltiamo le spalle. Anzi, non finisce di colmarci delle Sue tenerezze, come fa un padre – e molto più di un padre - verso un figlio che, con il suo errore, si trova maggiormente in pericolo, ossia indirizza, ogni sforzo d'amore per far capire al figlio che con le sue scelte sbagliate può perdersi e allontanandosi non potrà più godere neppure del Suo stesso Amore.

Tutto questo Gesù lo rivela con la parabola del figlio prodigo, che dovrebbe essere sempre presente e vita al nostro cuore.

Ma sappiamo tutti quanto siamo volubili e fragili, forse perché scambiamo la natura del vero amore con il fluttuante sentimento o con le ambigue emozioni.

Quando si ama veramente – come ci amano le nostre mamme o i nostri veri amici – non ci si lascia mai prendere da altri sentimenti contrari o contrastanti. L'amore vero non conosce confini, limiti o avversità.

Ricordo ancora quella mamma che, abbandonata dai figli, restò fedele all'amore per loro. Soffriva per il male che i figli le causavano ogni giorno, ma questo non la scoraggiava. Venne il giorno in cui stette davvero male. I figli lo seppero e, spinti forse da un senso di colpa, andarono a visitarla. Li accolse con tanta tenerezza e con parole che venivano dalle profondità del cuore: “Vi ringrazio di essere venuti. Non pensate che io non vi ami, anzi, sapervi contro e indifferenti, anche se non ne comprendo le ragioni, ha fatto aumentare l'amore. Ora siete qui. È il dono più grande che potevate farmi. Mi avete fatto pregustare il paradiso che spero mi attenda'. Bastò questo a far sciogliere l'indurimento del loro cuore. Grandi cose può fare l'amore.”

Pensiamo al grande esempio di Gesù stesso. Aveva coperto di miracoli, guarigioni e verità il popolo d'Israele. Aveva dato tutto di Sé. Quando venne l'ora dell'odio non si sottrasse. Abbiamo tutti davanti agli occhi le terribili ore della Passione e Morte. Ma l'ultimo Suo insegnamento, sublime, sono le parole pronunciate dalla croce: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno.»

Davvero Dio ha un Cuore grande e, creandoci, ce lo ha comunicato.

Purtroppo però, tante volte, tra noi pare abbia la meglio il contrario.

Ricordo, negli anni del terrorismo, con Padre Bachelet, che aveva avuto il fratello ucciso dalle Brigate rosse, quasi a volere indicare la via del perdono, fumino invitati a visitare tante carceri, dove erano detenuti i cosiddetti terroristi 'dissociati'. Era un gesto significativo, soprattutto per la presenza di Padre Bachelet, che proclamava come l'amore sa andare oltre il male ricevuto o subito.

E ricordo lo stupore di tanti ex terroristi, che vedevano in questo atteggiamento di perdono, la via del ritorno alla vita, pur continuando, giustamente ma ora con una loro più piena consapevolezza, a scontare la propria pena.

Avevano lasciato alle spalle la triste teoria che per cambiare l'Italia occorresse l'arma della violenza.

Comprendevano che non era quella la via per creare una società più giusta e umana. Riconoscevano il grave errore di 'valutazione' commesso e le ingiustizie perpetrate ai danni di persone giuste e innocenti. Con Padre Bachelet e con la stupenda guida di una suora, diventata celebre per il suo stile di approccio con i detenuti, Suor Theresilla, cercavamo di aprire la via della speranza.

“Eravamo convinti — ci dicevano — che per noi tutto fosse finito e ci consideravamo solo dei 'sepolti vivi', ma la vostra presenza ci fa sperare”. E fu così che ebbe inizio la riconciliazione.

Ma il fatto non piacque all'opinione pubblica e ai massmedia, che vedevano questo nostro atteggiamento come una provocazione inaccettabile, solo un 'passare la spugna' su orrori che dovevano continuare ad indignare senza nessun perdono, tanto che lo chiamavano “perdonopoli”. Ricordo che un giorno, in una pubblica piazza, davanti ad un folto pubblico, cercai di spiegare la bellezza del perdono, proclamando il Vangelo di oggi.

Alla fine del discorso mi si avvicinarono alcuni che espressero tutta la loro contrapposizione. “Ammiriamo quello che lei ha fatto nel Belice e fa ora contro la camorra, ma non possiamo che condannare questa sua 'politica' del perdono: chi sbaglia deve pagare!”

“Avete ragione. Il male deve sempre essere riparato, ma questo non vieta di poter dare speranza a chi ha sbagliato.”

Ero talmente bersagliato dalle disapprovazioni, che non riuscivo più a capire se dovevo continuare o lasciar perdere. A farlo apposta... quell'anno la Chiesa celebrava il suo convegno in Italia su “Riconciliazione e penitenza”! Trovandomi a Novara, in compagnia con altri due vescovi, chiesi loro un consiglio. Uno, Mons. Magrassi, vescovo di Bari, ricordo che mi disse: “Antonio, tu sei come una punta di acciaio che tenta di aprire uno spazio sulla via della riconciliazione e del perdono e sei davvero coraggioso e fai bene. I casi sono due: o ce la fai ad aprire uno spiraglio e allora diventerà, con il tempo, la larga via del perdono, o, se si romperà la punta... dovrai essere pronto a pagarla!”

Decisi di correre il rischio: la punta non si ruppe e fu aperta la porta della via della riconciliazione. Così come ricordo il grande esempio di Giovanni Paolo II che, colpito e ferito gravemente, mentre era tra la folla, una volta guarito volle incontrare il suo attentatore in carcere, offrendogli il suo perdono. Così sono fatti i veri discepoli del Signore. Non vivono, anzi, rifiutano la mentalità del “deve pagarmela” o “me la lego al dito”.

Noi cristiani, in famiglia, nell'ambiente di lavoro, in ogni ambito in cui viviamo, dovremmo essere coraggiosi testimoni del 'saper andare oltre' le offese e il male: questa è la via per 'piegare' i cuori duri. Non è facile, ma è la sola via della pace: una via che è dono della generosità del cuore. Cosi predicava Paolo VI nel Congresso Eucaristico internazionale di Bombay:

«Oggi la fratellanza si impone: l'amicizia è il principio di ogni moderna convivenza umana.
Invece di vedere nel nostro simile l'estraneo, il rivale, l'antipatico, il nemico, dobbiamo abituarci a vedere l'uomo, che vuol dire, un essere pari al nostro, degno di rispetto, di stima, di assistenza, di amore, come a noi stessi. Ritorna a risuonare al nostro spirito la parola stupenda di S. Agostino: “Che i confini dell'amore si allarghino”. Bisogna che cadano le barriere dell'egoismo e che l'affermazione di legittimi interessi, particolari interessi, non sia mai offesa per gli altri.
Bisogna che la democrazia, a cui si appella la convivenza umana, si apra ad una concezione universale, che trascenda i limiti e gli ostacoli ad una effettiva fratellanza.» (dicembre 1964)

Quanto sono attuali, necessari, urgenti, sempre, questi inviti.

Con Madre Teresa leviamo una breve preghiera, perché regni l'amore tra le Nazioni e i popoli:

Mio Signore, possano le nazioni essere toccate dal Tuo Cuore,
affinché lavorino per l'unità e con amore
come strumenti per diffondere la pace su questa terra_
Concedi ai potenti un cuore pulito, colmo di amore l'uno per l'altro.
Fa' che ascoltino la Tua Parola di amore
in modo da realizzare la tua pace attraverso il loro lavoro,
perché la pace è un bisogno e deve essere un dono per tutti, senza eccezioni: un dono che ogni uomo di buona volontà sa costruire
dove è, dove opera, a cominciare dalla famiglia.

Antonio Riboldi – Vescovo
Internet: www.vescovoriboldi.it
email: riboldi@tin.it

mercoledì 16 febbraio 2011

Vincitori e segnalati del concorso Pubblica con noi 2011

Vincitori sez. Racconto
(v. anche la sez. Poesia e l'attestato dei vincitori)

Fara Editore e i giurati del concorso Pubblica con noi 2011 (scheda del libro qui)  

 
Andrea Monda, Elena Varriale, Morena Fanti, Nino Di Paolo
e Stefano Martello per la sezione racconto  
sono lieti di premiare i seguenti autori 

I. ex aequo Vola colomba, Rita Nicolaidis (Castiglione delle Stiviere)

Sono di origine greca, come si evince dal cognome, ma la Grecia, quella antica, l’ho conosciuta attraverso i massimi filosofi dell’antichità con i quali sono entrata in contatto nella scuola superiore prima e con la laurea, poi, conseguita presso Università degli studi di Bologna: in ultima analisi ciò che conta è acquisire strumenti per vivere la vita al meglio e fino all’ultimo, nonostante le mille difficoltà che mi si sono presentate negli anni… Vivo e risiedo in una ridente cittadina “che dolcemente si arrampica” sulle colline antistanti il lago di Garda, Castiglione delle Stiviere. Lavoro in qualità di impiegata in una biblioteca del ministero della giustizia, dipartimento giustizia minorile, che svolge anche servizio di apertura al pubblico ma collabora – per lo più in via telematica – con tutte le biblioteche della provincia di Mantova poiché di fatto fa parte del sistema bibliotecario dell’ovest mantovano. Sono in ogni istante a contatto con titoli di libri e i libri stessi intesi come documenti fisici. Mi piace molto inventare percorsi di lettura e promuovere il catalogo della biblioteca intersecando patrimonio librario con patrimonio filmico e dare aria, meglio ossigeno, a materiale librario che rimarrebbe fermo a scaffale a prendere polvere.

“Il lavoro che non ingrana come dovrebbe. L’automobile con troppi chilometri addosso. I metri quadri che non ti consentono privacy. L’assicurazione, la cena (ti prego, vestiti meglio) e gli appuntamenti. Tutte fesserie. Grazie di cuore per avermelo ricordato, anche se mi sfuggirà dalla testa tra dieci minuti.” (Stefano Martello)

“Ho scelto questo racconto innanzitutto per il linguaggio fresco e diretto, libero da espressioni formali e, per questo, preciso, corretto e chiaro. Il percorso interiore della protagonista e la relazione con il suo sparring, il fisioterapista, tengono il lettore sulla corda benché la storia sia una storia di ordinaria difficoltà del vivere: la sfida quotidiana contro una grave disabilità. La normalità di una condizione difficile e l’unicità della strada intrapresa per sfidare tale condizione, lo scontro, dentro di sé, tra il non voler essere compatiti e la necessità concreta di aiuti sono gli argomenti brillantemente presentati in questo gradevolissimo racconto.” (Nino Di Paolo)


Cap. 6
Camminando con Rita!!

Ricordo come fosse ieri le prime sedute di fisioterapia in via ***. Un ricordo lontano, ma sempre vivo, come a sottolineare da dove siamo partiti: qualche passo nella cameretta, lento e impacciato, un bastoncino, le scarpe da ginnastica, la tutina azzurra… Gli ingredienti giusti, insomma…
E facendo un passo alla volta, uno dopo l’altro, di strada ne abbiamo fatta… Proprio così, abbiamo: è stata una lunga e costante crescita per entrambi, passando attraverso le paure, le difficoltà, le crisi, com’è ovvio, ma sperimentando anche grandi gioie e soddisfazioni.
In fondo, anche il Fuso ne scrive, a un certo punto:

Dai pochi passi nella tua cameretta sei arrivata all’autonomia, alla tua stupenda casa, al tuo lavoro, alle tue passeggiate al parco e soprattutto alle tue ferie!!
Ormai “la banda”, come la chiamo io, la conosco bene: so le sue debolezze, ma soprattutto conosco le sue risorse e le sue capacità, sono davvero tante!
Credo non si possa avere che un’infinita stima per una ragazza che ha speso anni e sacrifici per riguadagnare la propria libertà che il destino in un attimo le ha tolto. Non c’è nulla di più importante di questo bene e riconquistarlo penso sia il più grande successo di una vita!!
Non sto scrivendo a te Rita, ma ad un ipotetico lettore che ti conosce appena, magari di vista, un tuo compaesano, che incroci nell’andare al lavoro. Mi piacerebbe solo che tutti sapessero di questa tua conquista e, visto il clima olimpico di questi giorni, eccoti mettere al collo la medaglia d’oro per la forza, la tenacia e il coraggio che ti hanno contraddistinto in questi anni… Sei forte Rita!
Il fisioterapista, SF (Super Fuso)



I. ex aequo Il passaggio a livello, di Elliot Sedgwick, Simone Mazza (Parma)

Nato a Parma nel 1969, si è laureato in Filosofia con una tesi sulle Fiabe popolari, che rappresentano ancora un suo privilegiato ambito di indagine e sulle quali ha scritto numerosi articoli per diverse riviste specializzate. Abita a Parma, dove svolge la professione di docente di Lettere nella Scuola Secondaria inferiore e ha avviato anche un'attività di servizi Internet. Ha pubblicato due raccolte di racconti (una con Fara) e altri suoi racconti sono stati selezionati in alcune antologie.

“Ben costruita la prima parte con dei dialoghi da cui traspare la condanna di chi vive con le parole. Quel legame stretto con ciò che ti accade ogni giorno; quella influenza (nemmeno troppo sottile) che ispira o affossa le tue parole. Il testo meriterebbe uno sviluppo più ampio, integrando maggiormente la fase di confronto con la fase di scrittura.” (Stefano Martello)

“Molto intrigante l'idea dei diversi piani narrativi e delle storie che si rincorrono: l'autore è scrittore della sua storia che s'intreccia con la gestazione del futuro romanzo.” (Morena Fanti)

“Racconto originale (ma non troppo) sia nei contenuti che nella forma. Rifulge l'uso disinvolto di appunti, stralci di conversazioni telefoniche e mail come strumenti di un'indagine metaletteraria sul processo creativo.” (Andrea Monda)


30 Luglio. Idea per un nuovo romanzo (appunti).

Romanzo breve o racconto lungo?
Ci sono delle macchine che si accumulano in coda ad un passaggio a livello di campagna. È un punto di accesso ad un paese piuttosto laborioso, molti devono passare di là per andare al lavoro. È un grazioso scorcio di campagna, allʼinizio della primavera, ancora fresca. Ma verde. E fiorita. Si intravedono i camini delle prime fabbriche in lontananza, ma la nebbiolina del mattino, persistente, le sfuma un poʼ.
Punto di vista di uno di questi? Harry (o Henry) valuta se può tornare indietro, ma non si può: la strada è troppo stretta. Impreca. Molta gente ha ancora il motore acceso, pigia nervosamente – a scatti più o meno regolari – sull'acceleratore. Qualcuno fuma, con il finestrino abbassato; e si sente della musica (ritmo dance), da altri esce la voce della radio.
Piano piano le macchine si spengono e anche i rumori delle radio; lasciano il posto alle imprecazioni e alle domande senza risposta di qualche macchinista (cosa sarà successo? Ma quando passa il treno? Bisogna che chiami al lavoro! Porco qui porco là…).
Le persone cominciano però a stufarsi anche delle loro sterili lamentele e cominciano a parlare tra loro più compostamente, raccontandosi i disagi della situazione, le conseguenze sulla loro giornata di lavoro, sugli appuntamenti; qualcuno doveva persino andare a trovare la vecchia zia malata allʼospedale di Xyz.
Le discussioni si fanno a poco a poco meno banali e più interessanti.
Per esempio, si riflette proprio sui ritmi di lavoro ossessivi, su come la perdita di un poʼ di tempo per un treno che non arriva ha allʼinizio una carica ansiogena eccessiva, ma poi tutto si sgonfia poco a poco. Qualcuno scopre che un altro abita vicino a lui e cominciano a parlare e a conoscersi meglio…
Insomma, cominciano ad accadere delle cose “strane”, per cui le persone ferme al passaggio a livello COMUNICANO tra loro e scopriono che questo tempo usato per le relazioni è un tempo non perso, è qualcosa di divertente e gratificante, seppur temporaneo.
Non solo, ma il silenzio della campagna prende il sopravvento sulle esclamazioni sguaiate e sui rumori della quotidianità industriale (le macchine, le radio a tutto volume), dagli alberi si sente persino il cinguettio di qualche uccellino, qualche cicala e il paesaggio diventa quasi più colorato. Questa compostezza della natura induce le persone a mantenere un tono garbato e un atteggiamento gentile, quasi ne fossero istruite. Quello spazio armonico di
silenzio e di tempo da spendere diventa una specie di scuola, un luogo dove si scopre (o riscopre) il senso delle cose, dove si verificano i propri sogni, dove si ristabiliscono delle distanze, dei valori; e soprattutto dove i rapporti acquistano
un significato prioritario su tutto il resto.
A tal punto che, dopo diverse ore (?), quando arriva il treno, questi non hanno più tanta voglia di chiudere le macchine, riaccendere i motori e riprendere la routine che allʼinizio avevano interrotto così a malincuore. Quando si alza la sbarra sul passaggio a livello, nulla è più come prima (forse).

NOTA: chiamare rappresentante dellʼeditore (Hanna)



II. Lo srotolamento, Attilio Melone (Savona)


Nato a Vercelli nel 1941, risiede a Savona. È laureato in Ingegneria Chimica ed ha lavorato in grandi gruppi multinazionali. La letteratura lo interessa da quando ha imparato a leggere. Dedica il proprio tempo libero (e anche parte di quello che libero non è) a scrivere. Ha pubblicato i romanzi Il Rimedio, Inchiesta Inedita, Intelligence, La storia di Teo e la raccolta di racconti ambientati in montagna Chiaroscuri. Molti suoi racconti sono stati pubblicati in antologie. Ha ottenuto circa quaranta fra premi e segnalazioni.

«La forma racconto per comunicare domande, tesi e questioni riguardanti una delle ultime frontiere, in ordine di tempo, del pensiero e della ricerca scientifica: la scoperta di altre dimensioni del Reale. Sono quattro, sette o undici ? Oltre il tempo sono solo tutte spaziali le altre ?
Rapporti di simpatia e buon vicinato sono il pretesto per affondare la lama in queste affascinanti disquisizioni. Un racconto originale, specie nella parte in cui affiora la domanda sulla diretta incidenza del Pensiero nelle modificazioni (o addirittura nell’apparire) di alcune delle Dimensioni possibili.» (Nino Di Paolo)

Alessandro Baricco ha scritto che il vero talento “è possedere le risposte quando ancora non esistono le domande”. E nel costruire i pensieri del professor Elianteo Tolmi, l’autore non solo socraticamente “sa di non sapere”, ma scommette tutto sulla domanda delle domande, scommette sui perché. Il suo è infatti uno “srotolamento” di ragionamenti, ipotesi, immagini e parole che sottintendono altrettante possibili ipotesi scientifiche e filosofiche parallele e per ognuna di esse, il punto d’arrivo si trasforma subito in un nuovo punto di partenza. Il vero protagonista del racconto diventa così il logos, la mente creatrice che nel suo interminabile viaggio nei perché prende coscienza di un’ unica possibile certezza: basta un’idea per cominciare un Mondo. (Elena Varriale)


Il professor Elianteo Tolmi è una persona riservata, ma non troppo. Da quando lui e la signora Valentina sono venuti ad abitare nella villetta a fianco della nostra, la mia vita, prima sovente disturbata dalla turbolenta prole dei vicini che li hanno preceduti, è diventata più tranquilla, ma non per questo noiosa.
La mattina, il professore ed io usciamo da casa pressappoco alla stessa ora e percorriamo il medesimo tratto di strada che ci porta verso Milano, finché lui s’infila nel posteggio della metropolitana. Io, invece, imbocco la tangenziale che mi porta a Corsico. Spesso ci rivediamo la sera, quando ritiriamo l’automobile in garage e non manchiamo mai di fare quattro chiacchiere.
Siamo diventati amici, ma abbiamo impiegato un po’ di tempo.

Erano già passati parecchi mesi dall’arrivo dei Tolmi ed io non sapevo ancora che cosa facessero. Mi ero fatto l’idea che la moglie fosse in pensione e che il marito stesse terminando una qualche carriera in un ufficio al centro della città e tanto mi bastò finché, una sera a tavola, mia moglie Lucia mi parlò di loro. Lucia è molto riservata: teme tanto di essere ritenuta invadente o pettegola che correre il rischio di sembrare indifferente. Il fatto che mi raccontasse qualcosa a proposito dei nostri vicini, quindi, mi sorprese ed incuriosì.
“Ho trovato la signora Tolmi al supermercato, oggi; mi ha chiesto un passaggio e siamo venute a casa insieme. Lei non guida più da quando ha avuto un incidente. Se ti capita d’incontrarla, chiedile se deve andare in città e non fare il musone come il solito.”
“Io? Sei tu quella che ha paura di rompere le scatole a tutti! Perché sono venuti ad abitare fuori città, se hanno un problema del genere?”
“Si sono abituati così quando vivevano in America, a Boston. Il nostro vicino è una di quelle persone che piacciono a te.”
Venni così a sapere che Elianteo Tolmi era un astrofisico e che, fino a qualche mese prima, aveva insegnato al MIT.”.
“Professor Elianteo Tolmi!…Per forza che è diventato un astronomo. Che cosa può fare uno che si chiama Elianteo? L’astronomo, l’astrofisico. Dei genitori stravaganti ti chiamano Elianteo e tu devi occuparti di stelle.”
L’idea di avere un vicino del genere m’intrigava: m’immaginavo già conversazioni interessantissime, senza tener conto che, con la stessa persona, avevo, sino allora, scambiato soltanto qualche cortese saluto. Lucia mi fissava paziente.
“Mi raccomando. Non essere invadente. La signora è molto gentile, ma…”
“Il marito è un misantropo?”
“No. Tutt’altro. Lei mi ha raccontato della vita di società che facevano in America.”
“Perché sono tornati in Italia?”
“Qui vivono i loro figli.Tutti e due sposati. Hanno tre nipotini. La signora è un po’ dispiaciuta perché, nonostante siano vicini, li vede poco lo stesso. Come il solito, per i genitori non c’è mai tempo.”
Dovevo evitare l’argomento. Non c’era dubbio: quello era un tema sul quale era facile “attaccare” con mia moglie. Me la svignai filando nello studio a cercare in Internet il nome del professor Elianteo Tolmi.
Trovai il suo curriculum, corredato dell’elenco delle pubblicazioni più importanti.



III. Ore di Marco Bottoni (Castelmassa)

Nato a Castelmassa (RO) il 30/09/1958, esercita dal 1986 l’attività di Medico di Medicina Generale a Castelmassa (RO). Scrive per passione dal 1999, soprattutto racconti e poesie.
Ha pubblicato: L’Altro e altre storie (2004 Montedit Milano); Sullo stesso treno (2006 Fara Editore); “Vita” (2007, sei racconti nella raccolta Storie di Vita, Fara Editore); Prosecco e Prolegomeni – memorie di un Filosofo da bar (2007 Montedit Milano); Luna - Quattro storie di scacchi e di mistero (2009 Tindari Edizioni Messina); Mi siete mancati (2009 Fara Editore). Per il Teatro ha scritto Biglietto, prego! (2008), Dio lo faccio io! (2010) e Con il titolo in coda (Fara 2011). Ha corso come tedoforo per il Viaggio della Fiamma Olimpica di Torino 2006.

“Specchiarsi nelle domande che un uomo, senza perdita di coscienza e di fronte all’inarrestabile progresso di una malattia che porta alla fine, in una condizione di impossibilità al movimento, vive è il contenuto di questo racconto.” (Nino Di Paolo)

“Frasi mozze e ripetizioni, un ritmo quasi ansiogeno che, però, viene mitigato da brani 'poetici' e visionari. Questa alternanza crea un tessuto tra Vita e Morte che affascina.” (Morena Fanti)

Ore è una storia intensa, anche se, forse, non riesce ad emozionare quanto vorrebbe. Lo stile è diretto, secco, ma al tempo stesso fortemente evocativo.” (Andrea Monda)


Laudi

Poi, entro nel tuo studio, e tu sei lì.
Centinaia di volumi ordinati sul legno povero di una libreria snella e spartana: la ricchezza è tutta dentro i fogli.
Gli scaffali tappezzano di libri tutte e quattro le pareti, lasciando libera solo la luce della grande finestra; devo fissare lo sguardo sulla scrivania per arginare la vertigine che mi coglie mentre cerco di guardarli tutti.
La tua scrivania: la pergamena arrotolata di una poesia, su una busta l’appunto “cene con gli alunni degli anni 1953- 54-55” vergato di tuo pugno.
Una traduzione delle Georgiche curata da te.
Erodoto, in greco.
Professore.
Non so nominarti altro che così, perchè questo è “Colui che sei”: Professore.

Dicono “quanto è difficile vivere insieme a una persona”; molto, molto più difficile da condividere è il morire.

Poi, tolgono la coperta, ti tolgono di dosso il lenzuolo che ti copre.
Le braccia larghe sul grande letto bianco, la testa reclinata su una spalla, hai persino le gambe scarne semiflesse e accavallate, come è nel dolore di un vero crocifisso.
Fanno per prenderti, fanno per spostarti, per portarti.
Dicono che fanno per curarti.
Tu apri gli occhi e in un sospiro fai sì che si adempiano le Scritture.
“Come volete voi.”

Poi, entro nella tua stanza, e mi sforzo di trovare una verità qualsiasi che mi giustifichi, qualcosa che mi sollevi del peso del mio compito, che mi renda sopportabile il mio essere qui.
Lo cerco nei gesti del mio mestiere, dentro quel poco di sapere che mi sono trascinato dietro in tutti questi anni; cerco il perdono per i miei peccati, una assoluzione alle mie molte colpe, non ultima questa impotenza mia di fronte al tuo dolore.
Quello che non trovo scavando nella semeiotica, nella fisiopatologia, nella clinica, me lo offri in dono tu, con un filo di voce.
“Mi fido di te.”

Dicono “è questione di vita o di morte”, e davvero non sanno quello che ti fanno.
Perdona loro, per quello che non hanno.
La “questione” è “di vita e di morte”.

Poi, salgo anch’io sull’ambulanza, spinto dalla necessità impellente di dirti qualche cosa, parole che non so, che non conosco, che sento urgenti e necessarie solo perché, forse, ultime.
Nemmeno questo ho, di te: l’intimità del silenzio da riempire soltanto di una stretta, e forte, della mano.
“Stai tranquillo, ora ti facciamo passare il male, ti togliamo il dolore, poi…”
Ho cercato la Poesia, Professore, l’ho cercata davvero, con passione, con rabbia, con disperazione.
Ho provato a leggerla, ho provato a scriverla.
Continuamente, sinceramente, dolorosamente.
L’ho inseguita e l’ho attesa, senza mai trovarla, senza mai incontrarla.
“… ti vogliono tutti bene, ti vogliamo tutti bene…”

Dicono che è questo che fa paura, agli studenti, dei loro insegnanti: di trovarsi loro di fronte essendo impreparati.

Poi, mentre ti sono sopra e addosso, chinato su di te a guardarti, tu guardi verso il basso, ai piedi della croce, e mi fai dono di tutta la Poesia che tanto a lungo ho cercato, e invano.
Tutta insieme, dentro due parole tue, in un ultimo fiato.
“Ti piango”

Dicono che è tutto Uno, e ora so che hanno ragione.

Ti prego Professore, tieni anche me tra i tuoi fogli, sugli scaffali fitti di libri che lasciano libera appena la luce della grande finestra.
Tu, sei a pagina quarantotto.

Professore.

Caro Gianni…



IV. Il mare addosso di Gabriele Astolfi (Bologna)

Laureato in giurisprudenza, lavora in banca. Ha frequentato corsi di filosofia, di teatro e di lettura espressiva, e recitato per nove anni in una compagnia di teatro dialettale, prima di cominciare a scrivere. Nel 2003 ho pubblicato il mio primo romanzo, La pratica; nel 2005 il secondo, Una giornata normale. Nel 2007 pubblica la prima raccolta di racconti, Due zampe di troppo, e nel 2009 la seconda, … andremo ancora a giocare. È presente in varie antologie. Ha vinto diversi premi.

“«Il mare» ha scritto Giovanni Verga «è di tutti quelli che lo stanno ad ascoltare», di chi si lascia rapire, abbracciare e stordire dalla sua potenza, di chi senza più difese, si lascia avvolgere dalle correnti e dai suoi profondi silenzi. Nell’imperioso defluire dell’acqua, la vita si evolve, si trasforma, ti cambia. Il mare resta, appunto addosso perché è nella spuma di un’onda che il tempo sembra fermarsi, prima di specchiare ed annunciare spavaldo, l’eterno che è in lui e sopra di lui.” (Elena Varriale)

“Perché a volte una giornata persa ne fa guadagnare altre e togliersi i calzini può essere un'esperienza che apre la mente.” (Morena Fanti)


Quando Varda glielo chiese, conosceva già la risposta. Era come chiedere a un bambino svogliato se voleva andare a scuola, o a un beone di pasteggiare a minerale, o al più spilorcio degli avari di far beneficenza. La risposta era no; cento, mille volte no.
Malgrado ciò glielo chiese ugualmente, per gentilezza, per affetto verso il proprio uomo, o per un bisogno di conferma, di rassicurazione, per risentire da lui la risposta più scontata. A riprova che la vecchia quercia era sempre quella, sempre lei, chiusa a ogni novità che non fosse il fardello del quotidiano, l’affrontare le cose da fare una dopo l’altra, senza posa, come le pietre di un rosario la cui fine avrebbe coinciso con la sua.
“Loano, domenica vieni anche tu al mare con la parrocchia?” domandò al marito a desinare, allungando le palpebre a mo’ di grimaldello, per scardinarne la serratura.
Loano mangiava pasta e pomodoro, e raccoglieva col pane le gocce di rosso che la pasta non tratteneva e ricadevano nel piatto, pesanti quanto gocce di sudore. Il pane era un casereccio che le dita nere e grinze facevano più bianco di quel che era. Mangiava e guardava la moglie e la corona dei figli riuniti intorno al tavolo -alcuni, perché la maggior parte ormai era fuori casa, coniugata con prole a sua volta-, nonché i nipoti più piccoli, che i figli sposati lasciavano alla nonna perché li accudisse, e Filippo, il cane di famiglia, l’ennesimo nipote, solo con un numero di zampe diverso. Anche se l’ultimo erede camminava ancora su quattro.
Varda gli leggeva nelle righe della fronte la lista delle scuse che avrebbe accampato. Una lista al cui cospetto quella della spesa settimanale degradava a pensiero della sera, a fioretto prima di addormentarsi. La legna da tagliare, per poi essere raccolta e portata nel casotto, il fieno da affastellare, l’erba da falciare, gli alberi da potare, la frutta da raccogliere, le macchine operatrici da preparare all’uso, le proprietà, case e terreni, a cui attendere, col corollario di incombenze che queste richiedevano. Tutte attività da sbrigare la domenica, che la settimana, sabato compreso, era consacrata al lavoro vero e proprio. Quasi che quel po’ po’ di occupazioni festive non fossero lavoro. Altro che giornata dedicata al riposo, a ringraziare Dio per aver creato il mondo e i suoi abitanti. Per ringraziare Dio era sufficiente l’ora della messa, sottratta alle faccende domenicali come una fetta di polenta e formaggio alla sagra del patrono. A gomitate e spintoni. E nemmeno la moglie, perciò, era mai libera da impegni il dì di festa, che avrebbe dovuto cucinare per il marito e i figli chiamati ad aiutarlo, e avrebbe finito per dare una mano lei stessa.



Opere segnalate per l’inserimento di un estratto
con commento dei giurati nel blog narrabilando

Racconti di Paola Farah Giorgi (Genova) 

La scrittura nutre la mia anima ed appaga in modo quasi inebriante la mia esistenza: quando scrivo sono felice, null’altro, ed i miei personaggi diventano compagni d’avventura, rivestiti sia dei drammi vissuti nel mondo dell’illusione sia dell’incanto ricco di suggestione di un mondo più puro. Così, spaziando dall’intimistico psicologico al grottesco melanconico, passeggio insieme a loro sulla trama invisibile del destino, come si passeggia in un dedalo di vicoli e piazzette: fra luce ed ombra, giorno dopo giorno.

“I vari racconti sono simili a bozzetti, tracciate con uno stile semplice ma comunque personale, in cui sono ben miscelate ironia e meraviglia.” (Andrea Monda)


 Il caffè

Voglio raccontarvi solo poche cose di me e del mio assurdo girovagare nella sequenza dei giorni, spesso fradicia di pioggia e sudore, spesso affannata ed incauta.
Amo passeggiare ovunque, dai boschi al mare, e ripercorro con metodica consuetudine anche la strada sterrata che da Marmora risale verso la piccola Chiesa sul monte. Sono l’unica immagine in movimento in un paesaggio fermo e silenzioso.
Padre Sergio, sul terrazzino della piccola canonica, aspetta la mia comparsa all’ultima curva per accendere il fuoco sotto la caffettiera, mesto rituale dei giorni di nebbia.
Mille anni orsono, come miraggio nella desolazione dell’inquietudine, Padre Sergio è apparso nella mia tragedia, o commedia tragicomica che dir si voglia.
Mi ero avvicinata a lui alle sue spalle, per curiosità. Indossava i mutandoni di lana scura come mio nonno e stava spazzando con la scopa di saggina il contorno esterno della piccola Chiesa.
Non pensavo si accorgesse di me e si voltasse.
– Ciao – i suoi occhi sorridevano – posso offrirti un caffè?
– Grazie. Chi sei? Sono salita qui per caso… posso aiutarti?
Dopo alcuni secondi avevo in mano la scopa di saggina per continuare a raccogliere polvere d’ intonaco e briciole di affreschi del duecento.
– Mettiamo tutto in un sacco. Forse, a breve, inizieranno i restauri della Chiesa e questa polvere potrebbe essere rimpastata con qualche pagliuzza d’oro… – mentre parlava si lisciava con cura la lunga barba crespa, quasi giallognola, e l’ironia di un vecchio saggio aleggiava intorno a lui strizzandomi l’occhio. Alle pareti, solo calzari di santi senza più un corpo.
È stato il primo caffè della serie infinita.
La nebbia si addensa e si dipana restringendo ed allargando nell’arco di pochi secondi la messa a fuoco del paesaggio. A volte entro nelle orme fresche di altri pellegrini per sentire nei miei muscoli la tensione di altri passi. A volte rallento, faticando a contrastare la forza d’inerzia che la salita crea.
All’ultima curva mi fermo, per aspettare il giusto squarcio di nebbia e poter salutare Padre Sergio a distanza.
Non c’è. Aspetto ancora, ed altri minuti ancora. Non c’è. Riprendo la salita mentre il sudore freddo mi riveste ed un tremore incontrollato percuote i miei nervi. Tolgo la pesante giacca di lana melange ed accelero il passo. Scivolo, inciampo, ho paura, corro. Percuoto con forza il battente di bronzo della vecchia porta.
Sento dei passi.
– Ciao. Anche tu qui per festeggiare Sergio? – un ragazzo dall’accento straniero ebbro di vino e d’euforia apre la porta – dai, entra, tra poco brindiamo.
Lui è lì, seduto al tavolo davanti alla torta di mele già iniziata, mentre un gruppetto di ragazzi prepara spartiti e chitarre. Mi sorride. Si alza. Spegne il caffè.



La memoria ed altro… di Francesco Colonna, Firenze

Sono stato giornalista per gran parte della mia vita a Firenze (ramo specifico l'economia), ho anche ricoperto per cinque anni, come indipendente, la carica di assessore allo sviluppo economico nella prima giunta Domenici ('99-'04), e sono stato presidente per due anni di una azienda comunale dedita all'assistenza di senza tetto ('04-'06).

“Vita liquida, la chiama Baumann; sindrome da scranno la chiamo io. Quella assoluta “estasi etica” che ti colpisce appena metti piede su di un palco qualsiasi. Troppo divina per essere mantenuta a lungo; sarebbe già un successo non trasformarla in cialtroneria alla prima partenza lenta dell’automobilista che ci precede al semaforo.” (Stefano Martello)


La memoria riconoscente

L’aula appare svogliata mentre il deputato Benito Barbanelli sta parlando. Lo fa a braccio, senza fogli. Ha un abbigliamento sportivo, giacca di velluto blu, una camicia a quadrettini beige con la cravatta di maglia sempre blu, il tutto su pantaloni grigi. Non gesticola molto, anzi parla composto, badando di non allontanarsi dal microfono.
Una seduta di quelle che non finiscono mai, con beneficio della bouvette. E lì, davanti a un paio di caffè a prezzo stracciato, come si conviene a chi è lì per servire la patria, i colleghi onorevoli Basetti e Gargiulo stanno commentando proprio l’intervento che non stanno ascoltando. Gargiulo, un alleato di maggioranza di Barbanelli, scuote la testa e dice: “Lo sai come è Benito, quando ci sono questi temi non resiste…”
“Va bene – replica Basetti, che occupa i banchi dell’opposizione – però ci vuole un po’ di garbo, un po’ di coscienza. La sua è una orma di incontinenza mentale. Gli ci vorrebbe il pannolone al cervello.”
All’interno Barbanelli prosegue. Ha solo dieci minuti di tempo, ma vuole infilarci di tutto. Il tema è allettante: commenti sull’ultimo arresto di brigatisti, dopo le comunicazioni del ministro degli interni. Ha una bella voce, anche impostata, un po’ recitante. Ricorda l’Italia degli anni di piombo, che lui ricorda bene, parla dei compagni che sbagliarono, parla della necessità, che allora sentivano anche i borghesi, di un cambiamento, se non rivoluzionario, almeno radicale. Il contenuto oscilla tra il sociale e il mistico. Il presidente dal suo scranno gli lancia ogni tanto un occhiata al di sopra degli occhialini strettissimi da presbite. Lo guarda come se non lo vedesse. Barbanelli prosegue e si infila nel tunnel di definizioni di libertà: “Non è poi così vero che la libertà finisca dove comincia quella altrui. La libertà talora ha bisogno di spazi più ampi, quasi infiniti se in gioco non c’è il singolo ma un sistema complesso di relazioni, una società che vuole ritrovare i motivi della propria esistenza e soprattutto una prospettiva. La libertà si fa collettiva e non solo e non tanto individuale..”
Il vecchio tema delle avanguardie è duro a morire. Ma poi aggiunge che c’è un tempo per tutto, cita perfino l’Ecclesiaste. Dice che oggi è la stagione del rispetto, delle regole democratiche. Ma anche della democrazia dal basso, dei comitati, dei movimenti, dei centri sociali, dei giovani, dei gay, delle donne, di tutti coloro che cercano uno spazio rispettoso delle differenze, senza omologazioni. Le differenze che poi sono le identità, il modo per salvarsi dalla globalizzazione che tutto divora, un modo per garantire che prevalga l’essere e non l’avere.
Arriva alla conclusione: “Ecco perché non posso che condannare questi ultimi epigoni della lotta armata. In loro l’analisi è sostituita dalla nostalgia. L’anacronismo cerca di trasformarsi in elitarismo. Lasciatemi dire: il tempo del fucile, se mai ci fu, non c’è più”. Si siede. Qualche timido applauso che muore subito nel silenzio.
È un po’ accaldato Barbanelli. Un suo compagno di partito, che gli siede accanto, gli stringe la mano: “Bel discorso. Si sentiva la passione”. “Grazie – risponde Barbanelli. – Capisci, è stato duro anche per me dire quelle cose. Perché, sai, devo tanto al mio periodo di latitanza da brigatista…”





La pena di Isabella Lanfranchi, Lungavilla

Nata a Rho nel 1971, vive nell’Oltrepo Pavese. Laureata in Filosofia, da oltre un decennio scrive sceneggiature ideate a partire da percorsi creativi costruiti ad hoc nell’ambito dei laboratori di sua competenza, condotti presso vari istituti scolastici e in ambito privato. Cura
la regia dei relativi spettacoli. Tiene corsi di formazione sulla metodologia adottata. Nel 2001 ha pubblicato Fantasie d’animazione. Come rendere creativa e coinvolgente l’educazione dei bambini, Edizioni la Meridiana. Tra le sue opere di narrativa ricordiamo Passaggio segreto (2000) e La porta d’uscita (2004), Edizioni Guardamagna. Il racconto, di cui viene riportato un estratto, è stato inserito nella raccolta dal titolo In_difesa, recentemente pubblicata da
Albatros Il Filo.

“Il racconto è un accorato, intenso ed intelligente pamphlet letterario contro la pena di morte. La protagonista insegue tutti i suoi dubbi e resta stordita ed inorridita innanzi alla possibilità che si possa dare la morte ad un innocente. Si chiede allora che cosa sia un uomo incapace di porsi domande e di dubitare. Perché, il legittimo ed umano bisogno di giustizia, non può mai giustificare la brutalità della pena ed escludere da essa, la possibilità dell’errore umano.” (Elena Varriale)


Claudia non era abituata a sondarsi fino all’estremità più remota della solitudine, fino all’amore per sofferenza e alla sofferenza per amore.
Ignara di quanto profonda potesse essere o diventare la propria vita, scansava e scongiurava l’eventualità che la propria anima venisse sequestrata dall’inquietudine.
Fino a quella notte, non aveva conosciuto altro buio che quello del cielo, oscurato dalla solita bottiglia di champagne.
Per Claudia il buio stava e doveva restare fuori, lontano. Tutt’al più, se proprio si decideva a calare, andava esorcizzato con ricevimenti che sbiadivano all’alba o con sbornie smaltite sul divano. L’importante, nell’atto dello stordire o dello stordirsi, era saper appoggiare con eleganza il bicchiere ed evitare di finire in un centro di disintossicazione e sulla prima pagina dei giornali.
Del resto, in qualità di moglie di un governatore, aveva imparato in fretta che basta la bozza di un programma per far credere che si è in grado di cambiare le sorti di uno stato, così come quelle di una serata: basta riuscire a cucirsi addosso il ruolo di chi sa decidere e intrattenere.
Claudia imbambolava le notti con espedienti che impedivano al buio di fare altrettanto con lei. Sapeva come divincolarsi per non essere accalappiata dai continui interrogativi del suo dilagare.
L’abilità nel far tacere i dubbi del vivere poteva quasi essere paragonata a quella del marito nello spacciare un sacco di parole vuote per realizzabili e socialmente utili. Sempre di una forma di stordimento si trattava.
Ma ciò che capitò quella notte fu tanto imprevedibile da sbilanciare gli accomodamenti, le manovre e la presunzione di saper applicare alle proprie strategie comode istruzioni per l’uso e per l’abuso.
Era tardi e il governatore non aveva ancora fatto ritorno a casa. A differenza di altre volte, Claudia non lo aspettò a piano terra, dove capitava che lo assalisse con una scenata di gelosia.
Era salita in camera da letto, quasi convinta che il marito fosse davvero impegnato in una noiosissima riunione-fiume, di quelle in cui l’importante non è verificare l’interesse comune, ma arrivare a deliberare il proprio.
Cercò di sconfiggere il timore della solitudine soffiando via la polvere dalla copertina di un libro, posato sul comodino come un soprammobile. Lo aprì, agitando la stessa premura con cui si stappa un flacone di sonnifero, e aveva ingoiato una pagina a caso, sicura di distrarsi nel sonno di lì a poco.
A un tratto, mentre ancora le pareva di cercare la concentrazione, sentì un rumore. Somigliava a un cigolio.
Prima di spaventarsi, si chiese cosa mai potesse far scricchiolare un suono approssimativo in una casa moderna e laccata. Un ricordo fulmineo, però, la ricondusse a uno dei pochi pezzi d’antiquariato presenti e dislocati qua e là, secondo il gusto dell’architetto che l’aveva arredata.
In fondo al corridoio una sedia di metà Ottocento stava adagiata su se stessa a simboleggiare l’ozio e a riempire una nicchia incavata nella parete. Solo il marito le attribuiva importanza perché appartenuta alla famiglia per intere generazioni, fin dall’epoca della guerra di secessione. La sua bellezza serviva unicamente a diversificare il design ripetitivo e un po’ stucchevole; ma quell’unica volta in cui vi si era seduta sopra si era accorta che il telaio produceva quello stesso rumore.
Ciò stava a significare che qualcuno era entrato in casa? Possibile che il marito fosse tornato senza che lei se ne fosse accorta? E che bisogno avrebbe avuto di sedersi proprio su quella scomodità?
Le domande alimentarono la curiosità ancor più della paura e la fiondarono nel corridoio, in cerca di risposte. Il buio annullava la sua lunghezza e la sua dimensione.
Claudia cercò l’interruttore, tastò nel punto in cui pensava si trovasse e, non appena ne distinse i bordi rassicuranti, s’illuse di accendere la luce.
Così non fu.

"Così è (se vi pare)" di Luigi Pirandello al Piccolo Teatro Comico di Torino

Grandi Eventi al Piccolo
Stagione teatrale 2010-2011

"Così è (se vi pare)"
di Luigi Pirandello

25, 26 febbraio, ore 21.00
27 febbraio, ore 17.00
4 marzo, ore 21.00

con (in ordine alfabetico):
Maria Paola Casorelli, Lorenzo Denicolai, Eugenio Gradabosco, Patrizia Pozzi, Mauro Stante

e con la partecipazione straordinaria di
Barbara Cinquatti

Adattamento scenico e regia: Franco Abba

Compagnia: Piccolo Teatro Comico

La vita di una tranquilla cittadina di provincia viene scossa dall'arrivo di un nuovo impiegato, il Signor Ponza, e della suocera, la Signora Frola, scampati ad un terribile terremoto nella Marsica. Si mormora, tuttavia, che assieme ai due sia giunta in città anche la moglie del nuovo arrivato, anche se nessuno l'ha mai vista. Il signor Ponza vive con la moglie all'ultimo piano di un caseggiato periferico, mentre la suocera vive in un elegante appartamentino. Il trio viene così coinvolto nelle chiacchiere del paese, che vedono il signor Ponza come un "mostro" che impedisce alla suocera di vedere la figlia tenuta chiusa a chiave in casa L'opera è incentrata su di un tema molto caro a Pirandello: l'inconoscibilità del reale, di cui ognuno può dare una propria interpretazione che non può coincidere con quella degli altri. Si genera così un relativismo delle forme, delle convenzioni e dell'esteriorità, un'impossibilità a conoscere la verità assoluta che è ben rappresentata dal personaggio Laudisi e dalla frase "io sono colei che mi si crede" ripetuta dalla donna misteriosa.
------------------
Biglietti e informazioni:
posto unico: 12,00 euro (ridotto: 8,00 euro)– abbonamento a 4 spettacoli: 35,00 euro
numero massimo di 30 spettatori a replica
prenotazione obbligatoria allo: 011.364859 - 339.3010381
-------------------
Sede spettacoli:
Piccolo Teatro Comico - via Gonin 27/a - Torino (guarda la mappa)
info@piccoloteatrocomico.com - www.piccoloteatrocomico.com
-------------------
Ufficio Stampa:
Cecilia Caprettini (347.0566350)

giovedì 10 febbraio 2011

Lectio divina a San Miniato al Monte


Akhtar Soomro, Pakistan 2010


Signore, insegnaci a pregare!

Giovedì 10 Febbraio, ore 18.40:
 

Continua con Voi

la nostra meditazione

sulle ragioni della preghiera

lectio.divina@libero.it 

L’esigenza di un amore senza ‘se’ e ‘ma’

Omelia del giorno 13 Febbraio 2011
VI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

Il Vangelo di oggi può apparire di una grande durezza, sulla bocca di Gesù. Ma non è così.

L'amore e la giustizia devono possedere quella nettezza di verità che è nella loro stessa natura: non possono subire contraddizioni, che ne farebbero perdere la profonda e grande bellezza. Leggendo il Vangelo di oggi possiamo misurarci tutti su ciò che davvero siamo agli occhi di Dio. Credo sia bene leggere subito la Parola di Dio – ripeto – specchio di confronto per noi. Racconta Matteo:

"Gesù disse ai suoi discepoli: 'Non pensate che io sia venuto ad abolire la legge e i Profeti, non sono venuto per abrogarla, ma per darle compimento. In verità vi dico: Finchè non siano passati il cielo e la terra non passerà dalla legge neppure un loto, senza che tutto sia compiuto... Avete inteso che fu detto dagli antichi: 'Non uccidere, chiunque avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chi si adira con il suo fratello sarà sottoposto al Sinedrio; e chi gli dice pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna.
Se dunque presenti la tua offerta all'altare, e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia il tuo dono davanti all'altare e va' prima a riconciliarci con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono...
Avete inteso che fu detto: 'Non commettere adulterio', ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore.
Se il tuo occhio destro ti è di scandalo, càvalo e gettalo via da te; conviene perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna.
E se la tua mano destra ti dà occasione di scandalo, tagliala e gettala via da te; conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geenna.... Sia invece il vostro parlare sì, si, no, no: il più viene dal diavolo". (Mt 5,17-37)

Possono davvero apparire dure le parole che oggi Gesù ci rivolge, ma Lui, Verità suprema, non poteva sottomettersi alle ambiguità, tante volte nostre, per cui non sappiamo rendere il nostro parlare un netto sì o no, ossia un autentico servizio alla verità.

Oggi tira un'aria così nebbiosa di confusione e gelida di relativismo, che a volte tanti si arrogano 'il diritto' di farsi arbitri di ciò che è bene o male, a seconda della convenienza personale, travolgendo così gli eterni valori, fino a proporne altri....riduttivi o personalizzati, miseri se non scadenti, ma comunque sempre effimeri.

E può così capitare che – anche senza l'autorevolezza che Gesù oggi manifesta – ma con il solo accennare alla necessità di essere giusti secondo Dio, operando, quindi, con coscienza retta, fedeli alla legge del Signore, si sia considerati come guardiani assurdi di un passato che, per 'essere moderni', è doveroso seppellire!

Quante volte, forse, davanti alla nostra dimostrazione della verità della vita, ci si sente investiti dal rifiuto_ come fossimo noiosi o invadenti testimoni di ciò che non è più 'di moda'.

E come voler mandare in soffitta la voglia di verità, l'eroismo dell'amore, la bellezza della giustizia. Quello che così facendo ci rimane... è nell'esperienza, a volte anche drammatica, di tutti: il rischio di definire buono ciò che è dannoso, tanto da considerare 'mentalità da Medioevo' la denuncia degli scandali, che troppo spesso si ripetono in mille modi tra noi.

Ma un uomo senza fedeltà alla legge di Dio – unica via ad una piena realizzazione umana e spirituale – è come una casa tirata su senza i criteri che ne assicurino la stabilità, destinata presto o tardi a finire in rovina.

Per capire, accogliere e vivere quanto Gesù afferma oggi, dovremmo ricordare una verità che tante volte è ignorata: Dio ci ha creati simili a Sé nella Santità, che non ammette ombre. Su questa consapevolezza di Santità – 'Chiunque è stato generato da Dio non commette peccato, perché un germe divino rimane in lui' (I Gv 3,9) - si può comprendere il linguaggio del Maestro oggi.

Tutti sappiamo quanto costi aderire totalmente alla legge del Signore nella carità, nella giustizia, nella povertà. La nostra innata debolezza, purtroppo, a volte va esattamente contro la Parola. Gesù la conosce, perché l'ha assunta nella Sua Umanità, e così sa come venire in nostro aiuto. Non solo. Egli, il Misericordioso, sa ben distinguere tra la debolezza e l'accettazione del male come regola di vita: quest'ultima Gesù condanna!

Nel Vangelo di oggi più volte ripete: '...Ma Io vi dico...' per sottolineare la distanza del suo modo di agire dal nostro, e ricordarci che, se davvero amiamo la Verità, è al Suo modo di pensare e vivere che dobbiamo conformare il nostro.

Nella I Lettura di oggi, come a sottolineare quanto poi Gesù dirà, dall'Antico Testamento è tratto il brano del Siracide:

"Se vuoi osservare i suoi comandamenti, l'essere fedele dipenderà dal tuo buonvolere. Se hai fiducia in lui, anche tu vivrai. Egli ti ha posto davanti il fuoco e l'acqua: là dove vuoi tendi la tua mano. Davanti agli uomini stanno la vita e la morte, il bene e il male: a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà. Grande infatti è la Sapienza del Signore; forte e potente, egli vede ogni cosa. I suoi occhi sono su coloro che lo temono, Egli conosce ogni azione degli uomini. A nessuno ha comandato di essere empio e a nessuno ha dato il permesso di peccare". (Sir. 15, 16-21)

Ci sarebbe davvero da mettersi le mani nei capelli, oggi, di fronte al dilagante permissivismo.

Ma noi 'parliamo invece della sapienza di Dio, che è nel mistero, che è rimasta nascosta e che Dio ha stabilito prima dei secoli per la nostra gloria.... Come sta scritto: Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano'. (I Cor. 2, 7-9)

E’ la logica della giustizia e dell'amore. •E la ricerca della santità che deve vincere. Non quindi un'osservanza fredda, senza cuore, che rischia di scivolare nel rifiuto, ma la volontà amorosa di dire sempre 'sì' al Signore, che ci vuole bene ed è l'Unico a conoscere quale sia il 'nostro' vero Bene: diventare simili a Lui'.

A volte seguire il Vangelo, che è seguire Gesù, chiede non solo generosità, testimonianza, ma anche eroismo, che è il segno dell'amore totale.

Ricordo molto bene i tempi del terrorismo, quando tutti finirono la loro 'carriera' in carcere. Superando tante difficoltà, invitato da coloro che si erano dissociati, venni invitato a visitarli. Lo feci, andando in tutte le carceri italiane. Mi accompagnavano due grandi apostoli del perdono: Suor Teresilla, una consacrata incredibile, che sapeva attirare l'affetto e la stima dei terroristi, e Padre Bachelet, fratello del grande Bachelet ucciso dalle BR. Nei brigatisti che incontrai si notava il desiderio di uscire dal pericoloso tunnel dell'odio e della violenza, in cui erano sprofondati, per tornare a conoscere la bellezza di rapporti improntati alla fiducia, al perdono... alla carità. Eppure questo nostro avvicinarci a chi voleva 'risorgere' — pur accettando di scontare la giusta pena — 'scandalizzò' l'opinione pubblica, che ci accusava di un buonìsmo assurdo. Più volte venni aggredito verbalmente, come fossi un pazzo. E ricordo che, non sapendo più come comportarmi, mi rivolsi ad alcuni cari confratelli vescovi, chiedendo consiglio e aiuto nella preghiera. Il vescovo di Novara mi disse: 'Antonio, non fermarti. Tu stai cercando di bucare il grosso muro dell'odio e della diffidenza. Se riuscirai, diventerà una porta aperta al perdono anche tra la gente, ma se fallirai, preparati a pagare un duro prezzo, che sarà l'incomprensione e la condanna di molti'. Si riuscì ad aprire una porta e per essa entrarono molti volontari, ma soprattutto entrò il Vangelo che abbiamo letto: 'Se dunque presenti la tua offerta all'altare, e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia il tuo dono davanti all'altare e va' prima a riconciliarci con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono...

Scriveva Paolo VI:

"Tacciano un istante i nostri animi ed ascoltiamo: 'Io vi do un comandamento nuovo, amatevi gli uni gli altri come Io ho amato voi... '. Ancora si parla di amore. Ma questa volta l'amore deve partire da noi. All'amore ricevuto da Cristo, deve seguire il nostro per i nostri simili, per la comunità in cui ci troviamo e deve farsi riunione spirituale, perpetua.
Una nuova circolazione di carità ci deve rendere da nemici amici, da estranei fratelli.
Con questo paradossale impegno: dobbiamo amare come Lui ci ha amati. E quel 'come' dà le vertigini. Ci avverte che non avremo mai amato abbastanza. Ci avverte che il precetto della carità contiene in sé sviluppi potenziali, che nessuna filantropia potrà mai eguagliare.
Purtroppo la carità è ancora contratta e racchiusa entro confini di costumi, di interessi, di egoismi, che crediamo essere dilatati. E, a nostro stimolo, e forse a nostro rimprovero, dalle labbra soavi e tremende di Cristo piovono queste indimenticabili parole: 'Da questo tutti conosceranno che siete miei discepoli: se vi amerete gli uni gli altri, come lo ho amato voi."

L'amore è così distintivo dell'autenticità cristiana, sempre, davanti ad ogni caso". (aprile 1968) Con il Salmo 118 preghiamo:

"Beato l'uomo di integra condotta,
che cammina nella legge del Signore.
Beato chi custodisce i suoi insegnamenti
e lo cerca con tutto il cuore.
Tu hai promulgato i tuoi precetti
perché siano osservati interamente.
Siano stabili le mie vie,
nel custodire i tuoi decreti.
Sii benevolo con il tuo servo e avrò vita,
osserverò la tua parola.
Aprimi gli occhi perché io consideri
le meraviglie della tua legge.
Insegnami, Signore, la via dei tuoi decreti
e la seguirò sino alla fine.
Dammi intelligenza, perché io custodisca la tua legge
e la osservi con tutto il cuore."


Antonio Riboldi – Vescovo –
Internet: www.vescovoriboldi.it
email: riboldi@tin.it

mercoledì 9 febbraio 2011

Intervista ad Alberto Cola, vincitore del Premio Urania 2009

L'intervista ad Alberto Cola, vincitore del Premio Urania 2009, su The Portal.

Con grande piacere riporto il link alla mia intervista ad Alberto Cola, vincitore del Premio Urania 2009 (ovvero l'ultima edizione del premio), appena pubblicata in lingua inglese su The Portal, sito internazionale che si occupa di fantastico e fantascienza a livello mondiale, con il quale collaboro da qualche tempo.
Sono convinto gli autori italiani meritino maggiore attenzione, anche a livello internazionale, di quella che è oggi loro riconosciuta, e mi auguro che questo pur modesto contributo, insieme alla precedente pubblicazione dell'intervista ai curatori di Ambigue Utopie, possa andare in questa direzione.
Il prossimo pezzo che pubblicherò nel portale, relativamente alla cultura del fantastico in Italia, sarà con tutta probabilità dedicato alla Carboneria Letteraria, il collettivo di autori italiani di cui da poco tempo sono onorato di far parte anch'io, e di cui è membro lo stesso Alberto.
L'intervista, per la quale ringrazio il Carbonaro Premio Urania 2009, è accessibile seguendo questo link.




Un saluto,
Francesco Troccoli

POESIA VERBO-VISUALE (segnalazione di Davide Argnani)

MUSEO DELLA CARALE
Via Miniere n. 34 – 10015 IVREA (TO)


VIAVAI N. 1
POESIA VERBO-VISUALE

Un percorso fra arte e linguaggio con approfondimenti monografici, 
periodicamente aggiornato, a cura di Adriano Accattino


Inaugurazione e convegno a Ivrea Sabato 12 e Domenica 13 febbraio 2011.

Alfonso Lentini
Il Museo della Carale di Ivrea riapre la stagione espositiva nel segno della continuità con l’attività svolta nel corso dei tre anni dalla sua apertura. Dal 2008 le mostre e gli eventi organizzati sono stati occasione per delineare un preciso orientamento, per cui il Museo si fa portavoce di quelle espressioni artistiche concettuali legate all’uso del linguaggio e della parola, derivanti dalle ricerche verbovisuali nate tra gli anni sessanta e settanta.

Per approfondire le relazioni fra parola e immagine sia nella direzione storica, sia rivolgendo l’attenzione alle ricerche contemporanee, si è pensato di esporre le opere della collezione del Museo in una mostra permanente, ma dinamica e tempestiva. Le opere esposte vedranno un graduale avvicendamento, essendo aperta la possibilità di partecipare con propri lavori non solo ad artisti non presenti nella collezione, ma anche ad artisti già presenti che vogliano esporre altri diversi lavori; inoltre sono accolte anche opere provenienti da collezioni private.

Il Museo intende altresì approfondire il lavoro di alcuni artisti, organizzare conferenze, laboratori, incontri e altri eventi estemporanei.

Ignazio Apolloni
L’inaugurazione della nuova stagione espositiva sarà un modo per presentare il programma di attività, per proporre progetti sul territorio e, come sempre, sarà occasione d’incontro e scambio con chi ha sostenuto culturalmente le attività del museo e chi è interessato a conoscerci e farsi conoscere attraverso il proprio lavoro.

Ecco intanto il programma delle due giornate d’inizio stagione:

Sabato 12 febbraio 2011- Ore 16,00 Inaugurazione e discussione su: “La visualizzazione della scrittura e l’uso del linguaggio nell’arte contemporanea”. Intervengono: Lorena Giuranna su “Linguaggio e narrazione nell’arte contemporanea”; Sandro Ricaldone su “Intorno (prima, dopo, accanto) all’ipergrafia; Raffaele Perrotta da “Attraverso la cruna di un ago e Arrigo Lora-Totino su “Martinetti, ingegnere della parola”.

Ore 18,30 Proiezione del video di Vira Fabra “Ultimi tattili ai margini della memoria”, 1984 a cura di Ignazio Apolloni.

Domenica 13 febbraio 2011:

ore 10,00 discussione informale degli artisti partecipanti e dei critici sulle possibilità dell’impegno del linguaggio nell’arte.

Davide Argnani
(Double face)
 


Opere in mostra di: Ignazio Apolloni; Davide Argnani; Maryse Aspart; Carla Bertola; Nanni Balestrini; Vittore Baroni; Dino Bedino; Anna Boschi; Gianni Broi; Paolo Brunati Urani; Ferruccio Cajani; Ugo Carrega; Luciano Caruso; Bruno Cassaglia; Sergio Cena; Andrea Chiarantini; Bruno Chiarlone; Francisco De Zabala; Marcello Diotallevi; Liliana Ebalginelli; Tony Ellero; Fernanda Fedi; Kiki Franceschi; Gino Gini; Elisabetta Gut; Alfonso Lentini; Arturo Lini; Arrigo Lora Totino; Ruggero Maggi; Franco Magro; Lucia Marcucci; Alberto Mari; Maria Grazia Martina; Stelio Maria Martini; Carlo Mazzetti; Mario Mercalli; Enzo Miglietta; Riri Negri; Anna Oberto; Serena Olivari; M. H. Ossorno; Mario Parentela; Giuseppe Pellegrino; Gloria Persiani; Jacque Rey; Alberto Sordi; Massimiliano Testa; Agostino Tulumello; Alberto Vitacchio; Piero Viti; Rodolfo Vitone; William Xerra; Adriano Accattino.


La mostra resterà aperta tutte le domeniche dalle ore 10 alle 13 e dalle ore 14 alle 17. Ingresso libero. Info: Adriano Accattino Tel. 0125-612658, Email: adrianoaccattino@libero.it – www.museodellacarale.it