martedì 30 agosto 2011

Alex Celli in piazza Cavour, Rimini, 7 set

su Alex Celli


Su Azioni & Natura Umana di Leonardo Caffo

Ho letto e continuerò a leggere il libro di L. Caffo. pregevole e importante considerando altresì l'età dell'autore. allego sotto una nota di pensieri emersi durante la lettura. la parola è come sempre evocatrice di altre parole. resisteranno alla furia del tempo?

cordialmente

Oreste Bonvicini

urano
.... ....

In un editoriale di qualche tempo fa leggevo, a firma di Marco Merlin, un concetto a grandi linee così riassumibile: l'unica scrittura originale rimarrà la saggistica. Forse spostando gli accenti o forse identificando nella precisione e nella maestria di quel concetto un pensiero latente in me da anni, ma che non veniva alla luce, ovvero non trovava spazio per essere esposto in pubblico, penso che Azioni & Natura Umana di Leonardo Caffo, pur tributando omaggio ai pensatori a cui si rifà, ci sveli l'opera breve ma corposa di un autore impegnato, profondo, colto, ancora più considerando la sua giovane età. E forse per questo motivo che, fiducioso nei giovani a dispetto delle difficoltà che toccano loro in sorte nella gerontocrazia in cui ci troviamo ad esistere, penso al dovere della parola di scatenare il confronto e farsi urlo.
Per noi, sconfitti dal troppo non fare, non dire, non osare, il tempo è poco, benché sia viva, con il pensiero di Hannah Arendt, quella convinzione tradotta in certezza dalla disillusione che l'età esalta, che “Compiere grandi gesta e pronunciare grandi parole, non lascerà traccia, nessun prodotto dopo che il momento dell'azione e del discorso è trascorso” (in Vita activa)

Oggi abbiamo bisogno di sfatare questa verità nuda e inoppugnabile. E se è vero che ogni verità nasce nuda e spetta agli uomini vestirla di significati, poiché le azioni che si devono e dovranno compiere saranno alla base della società che lasceremo in eredità a chi ci sopravvive, dobbiamo altresì liberarci dunque degli stereotipi del capitalismo che annaspa, al limite del tracollo, suicidandosi, trascinandoci nel baratro. Correggere la rotta è possibile. Doveroso. E meno traumatico sarà se, agendo presto, troveremo non sole le parole, non solo intenzioni, non solo aridi calcoli di statistiche erronee e generalista, giochetti di macroeconomia.
Forse, ripensando al pensiero di Foucault, quando affermava che “per interpretare le parole bisogna frantumarle affinché vedere emergere in piena luce l'altro senso che nascondono” scopriamo di non aver mai portato a termine questo compito, nascondendoci dietro le agiatezze ipocrite dell'ultimo ventennio del secolo trascorso.
Ma di quale azioni siamo responsabili se non del tempo, ovvero, in senso lato, dell'essere tra le cose del mondo?
Per questo non possiamo più tacere dello scempio quotidiano, e in questo ci dibattiamo, per scrivere nuove regole. Per riannodare il cammino della società entro schemi razionali, ma sopratutto riagguantare ciò che che la notte dell'etica, questa che viviamo, ci sta nascondendo.
Dobbiamo insomma sfatare la piramide di una società infetta di un sistema che mira a perpetuare se stesso. Dobbiamo non aver paura di spingere la porta verso l'esterno. La filosofia del quotidiano confronta e racchiude la capacità di proporre, analizzare, confutare.
La poesia, l'arte della parola sarà per noi ancora la sintesi della creatività, lo specchio del nostro malessere. I tiranni ne avranno paura. Una volta ancora.

venerdì 19 agosto 2011

L'artiste se forme en voulant ce que la poésie exige








Il faut que l'homme devienne tout ce dont il n'est que l'image.

L'homme n'a qu'un moyen de ne pas être un objet, c'est de savoir quel objet il est.


L'artiste se forme en voulant ce que la poésie exige.



C'est en inventant une qualité que l'on marque le mieux l'infériorité de ceux qui ne seront jamais capables de l'acquérir: Cassou est une nature généreuse.

Le besoin d'écrire est l'image d'un appétit plus grand que l'homme, la créature d'un besoin inconnu.


Si tu es prédestiné, tu es prédestination.

Joë Bousquet, Note-book, Mortemart 1982. Immagini di massimo sannelli

martedì 16 agosto 2011

Sua Eccellenza Mons. Luigi Moretti al Pizzo San Michele


Il 13 agosto di quest’anno monsignor Luigi Moretti, Arcivescovo Metropolita di Salerno Campagna Acerno, è salito in elicottero sul Pizzo San Michele, partendo da Calvanico, per accogliere l’invito fattogli dall’Amministrazione Comunale del luogo al fine di eleggere la chiesetta-eremo del Pizzo a Santuario. Una giornata memorabile per come si sono svolti gli eventi: nei giorni precedenti il Comitato laico, che ha cura della chiesetta, ha svolto tutti i lavori di accoglienza: preparato il piano per l’atterraggio dell’elicottero; preparato la chiesa e gli altri vani ad accogliere i pellegrini provenienti da tutte le località sparse nelle valli intorno al Pizzo. Nella notte splendevano le luci sulla montagna sacra per accogliere quei pellegrini che volevano passare la notte che precedeva l’evento in compagnia dell’ Arcangelo.
Il mattino del 13 si è levato radioso su una moltitudine di pellegrini che a piedi affrontavano la fatica della salita, in silenzio, per incontrare in cima l’Angelo protettore da tutti i mali, partendo dalla sorgente di Carpegna in Calvanico. C’erano bambini, giovani, anziani e vecchi. Quanti non potevano salire a piedi hanno usato l’elicottero, che ha compiuto più di trenta ascese sulla cima per trasportare quasi centocinquanta persone disabili. Tra questi c’era anche chi era costretto in carrozzina da anni e desiderava per una volta incontrare l’Angelo. Con loro è venuto anche l’Arcivescovo e con loro si è soffermato, senza sottrarsi alle mani tese di tutti i pellegrini convenuti, ha celebrato la seconda messa e ha distribuito la benedizione apostolica. In precedenza ha parlato il sindaco di Calvanico, che ha illustrato l’importanza che il luogo ha per tutti i pellegrini, del lavoro svolto da migliaia di persone oggi scomparse, per tenere in vita la chiesetta e le pertinenze, e ha affisso in chiesa una lapide a ricordo del grande evento cristiano.
Sono trascorsi 334 anni, correva infatti l’anno 1677, quando l’inviato dell’allora vescovo Alvarez si recò in pellegrinaggio a dorso di mulo al luogo denominato “San Michele in vertice montis”, censendo il luogo e la sua semplicità e dichiarando nel documento, conservato nell’Archivio Diocesano, la devozione della buona gente di Calvanico. Grazie alla devozione dei calvanicesi e di tutte le genti delle convalli questo eremo è stato scelto quale luogo d’incontro e di preghiera nei giorni dell’Apparizione di San Michele sul monte Gargano, 6, 7 e 8 maggio di ogni anno; il giorno onomastico del 29 settembre e il 28 agosto in onore di Sant’Agostino, i cui conventi erano sparsi nelle valli sovrastate dalla montagna sacra. Quest’anno, invece, per la prima volta è venuto di persona l’Arcivescovo, portando la benedizione apostolica inviata da S.S. Benedetto XVI, già nei giorni 6, 7 e 8 maggio di quest’anno, in favore di tutti i pellegrini e delle loro famiglie.
Sono stati ricordati, in questo modo, coloro che sono devoti a San Michele e tutti coloro che hanno speso le proprie energie per dare continuità a questo luogo posto così in alto.
Tra le personalità presenti, sabato 13, c’era anche il chiarissimo professore Giorgio Otranto, direttore del Centro Studi Micaelici del Gargano, con la consorte e il nipotino Emanuele, invitati dall’Amministrazione Comunale: il professore Otranto è stato di recente nominato cittadino onorario di Calvanico. Egli ha confermato quanto asserito dagli studiosi locali del culto micaelico, Raffaela Bergamo e Vincenzo D’Alessio, nel loro libro “Il culto di San Michele Arcangelo: la chiesa sul Pizzo San Michele” del 2004, che il Pizzo San Michele con i suoi 1567 m. è il luogo più alto in Italia dove viene celebrato il culto di San Michele.
La giornata si è svolta in gran compostezza, come in tutte le occasioni d’incontro sulla montagna sacra, grazie al Comitato Pizzo San Michele di Calvanico e alle folle numerose di pellegrini che costituiscono la vera forza della Fede in questo luogo scelto perché più vicino alla purezza del Cielo.

Raffaela Bergamo e Vincenzo D’Alessio

Il mare



Vi sono momenti in cui mi sembra d’essere vicino a uno
spiraglio di verità, di cogliere una trasparenza simile a
un significato intero.
(Carmelo Samonà,  Fratelli)

Turner, Vapore durante una tempesta di mare
   Può essere un odore, le pagine d’un vecchio Grand Hotel impregnate di muffa oppure il profumo dei fichi sopra una foglia in un piatto chiaro. Può essere una rossiccia alga marina che dischiude afrore di profondità se strofinata sulle narici, o l’umore d’una stanza, psichismi che a volte ci sembra di toccare. Sarà forse un disegno a matita – il volto d’una giovane donna con un ampio copricapo floscio che si confonde con la chioma fluente fin sulle spalle. Seguiamo allora il segno che ripassa un mento esile, pudico, e i contorni degli occhi come kajal  apotropaico d’un neonato; percorriamo quei sentieri che creano un fiocco pendulo sbocciante da un nastro del cappello, e gli orli d’arabeschi del suo tessuto lieve, la curva della camicetta sopra i seni – e scrutiamo il cauto movimento sulla carta di riso, cerchiamo le dita strette verso il limite appuntito della matita. E dalle dita ci pare di sentire il tremito quasi impercettibile d’una mano e poi un respiro.
   Esco per fare colazione. Un cappuccino e una brioche, se è ancora possibile. Di nuovo nuvole in cielo, una distesa bassa che cala sulle prime colline. “Che estate,” si dice in giro.
   Porto un libro con me. Farò il signore d’altri tempi, a leggere nel giardino del bar mentre rallento i gesti verso la tazza calda e il dolce alla crema. Tuttavia i fogli dei libri mi appaiono adesso dispersi ovunque, in quel che vivo, sono incarnati nelle vicende quotidiane, ed è inutile sforzare lo sguardo sulle righe a stampa.
   Il bar mi offre quel che cercavo. Non mi sorprendono più gli enormi titoli dei giornali esposti tra la cassa e il bancone. Il proprietario ha un sorriso immobile, è abile nel districarsi con un unico volto nel garbuglio di giorni come questi. Alcuni clienti fingono banalità, ma l’inesperienza li tradisce.
   Il forte vento di notte ha portato altri rottami, il giardino dove siedo solitario è stato difeso a stento. Apro il libro, mi sporco le labbra con la schiuma del cappuccino, leggo frasi e parole sparse.
   Il mare continua ad avanzare, lambisce i confini della città e in alcuni tratti ha superato le barriere protettive. Mare eravamo e mare saremo. Come quella frase sulla polvere. Il mio sonno è invaso dal rumore delle acque che s’infrangono e dal rombo crescente di questa immensa creatura liquida.
   Non è una ossessione o un mostro, come qualcuno bisbiglia a occhi spalancati. È nostra madre, padre, fratello, sora nostra Morte corporale.
   Col mare sono giunti gli uccelli, innumerevoli, talvolta chiassosi, sembrano fuscelli naufragati nell’aria. Il sole appare di rado, spezzato tra nuvola e nuvola. I tramonti più visibili si spandono in impiastri avvampati nei vapori salmastri e le aurore hanno spesso il tepore  della prima cenere. Mi incantano le luci estreme  e iniziali – i commiati e gli esordi –, poi mi accorgo d’altro.
   Indugio nel giardino per mezz’ora.
   Vado a pagare: cinque euro e dieci.
   “Un notevole aumento,” dico.
   “I tempi sono difficili,” dice con un sorriso il proprietario alla cassa mentre mi porge lo scontrino.
   “Già, è vero,” rispondo. “Grazie. E arrivederci.”

venerdì 12 agosto 2011

Su Due strane storie scozzesi di R.H. Barham e G. MacDonald

Traduzione e Introduzione a cura di Valentina Poggi
Collana Microbi, Fara Editore, Santarcangelo di Romagna (Rn), 1998, pp.93

Recensione a cura di Lorenzo Spurio

La letteratura vittoriana ha sempre guardato con fascino e interesse il mondo della scienza e della medicina in particolare. Vari scrittori hanno utilizzato molti riferimenti a ideologie, scoperte, esperimenti o intuizioni scientifiche che in quegli anni venivano portate alla luce. Uno dei temi più utilizzato fu ad esempio quello che concerneva i cavamenti di sangue, le trasfusioni, l’applicazione di sanguisuge e in letteratura questo ha dato luogo a una serie d’invenzioni che nascono dal culto delle scoperte sul funzionamento del corpo e della circolazione del sangue. Non solo. La società vittoriana fu particolarmente attenta a quelle nuove forme di pensiero tutte inedite che nascevano in quel periodo, alcune destinate a morire perché sorpassate o evidenziate come erronee, altre a svilupparsi in maniera più attenta e precisa in quelle che oggi sono le branche della medicina. Ci sono riferimenti al magnetismo, al mesmerismo e alla frenologia in molte opere della letteratura vittoriana, prime tra tutti in Jane Eyre (1847). Non va inoltre scordato che l’americano E.A. Poe si occupò spesso nei suoi racconti terrificanti del labile confine che separa la vita dalla morte, parlando di casi di catalessi come nel celebre racconto Il crollo della casa degli Usher o comunque di condizioni patologiche di dormiveglia e d’incoscienza che culminano con il ritorno in vita del morto (la letteratura sugli zombi nasce proprio da questa premessa).

Valentina Poggi ci propone in questo libricino che fa parte della collana Microbi due racconti poco conosciuti di due scrittori d’età vittoriana dove pure il tema della medicina è particolarmente importante. Si evidenzia spesso come la medicina, più che rappresentare una forma di conoscenza sicura e salvifica, sia invece avvolta da mistero e caricata di dubbi ed incomprensioni. La medicina è ancora in età vittoriana un sapere misterico più che scientifico e che spesso viene confuso con la magia. Il primo racconto “La stanza dell’incubo” (titolo originale “Singular Passage in the Life of the Late Henry Harris, D.D.”) di Richard Harris Barham (1788-1845) ci narra della malattia che colpisce una ragazza a seguito dell’allontanamento del suo amato, che si trasforma in una vera e propria forma d’isteria cronica che la porta a fare incubi continui. Poi la ragazza nel suo lungo racconto parla di perversione, nefandezze e abomini ai quali viene sottoposta, ma non sappiamo esattamente cosa sia successo, la sorella le fa capire che è stato solo un incubo mentre per lei si è trattato di qualcosa di maledettamente reale. L’autore non chiarisce quale sia stata la sua patologia e osserva: «Fino all’ultimo rimase convinta che il suo indegno innamorato l’avesse sottoposta a pratiche di magia nera» (46).

Il secondo racconto è “La bella nello specchio” che fa parte del romanzo Phantastes (1858) di George MacDonald (1824-1905). Come si evince dal titolo nell’intero racconto è centrale la figura dello specchio, un vecchio specchio d’antiquariato di cui Cosmo si innamora e che finisce per comprare. Lo specchio, similmente a quanto avviene in Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll gli dà la rappresentazione di un mondo altro, fantastico, irrazionale: «Che strana cosa è uno specchio! e come somiglia meravigliosamente alla fantasia umana! Perché questa mia stanza, a guardarla nello specchio, è la stessa e non è la stessa» (63). Ma, a differenza di Alice che riesce a oltrepassare lo specchio, Cosmo osserva tutto da fuori, estraniato: «Come mi piacerebbe abitare in quella stanza, se solo potessi entrarci» (65). Ma l’esclusività di questo specchio non è infatti quella di proiettarsi in un mondo fantastico bensì quella di trasmettere l’immagine di una bella giovane vestita di bianco che, puntualmente, tutte le sera gli va a far visita. Cosmo se ne innamora ma non può né toccarla né baciarla fino a quando si vede costretto a utilizzare i suoi rudimenti di magia per invocarla e renderla materiale. Ma la ragazza è legata a un incantesimo e potrà essere libera solo se lui si riuscirà a rompere lo specchio. Così Cosmo si dà da fare in tal senso. Come finisce? Non è bene svelare tutto.

Queste due storie brevi si leggono velocemente, tutte d’un fiato e sono in grado di trasportarci nell’atmosfera vittoriana di false credenze in incantesimi e magie, stati isterici e catatonici e fascinazione per la scienza intesa però ancora in maniera alchemica e magica. Una lettura da non perdere.

mercoledì 3 agosto 2011

Insanamente ad eSPORTiamoci Rimini Viserba 30 ago

Nell'ambito della manifastazione eSPORTiamoci 2011, un percorso per una salute non solo mentale a cura di Fernando Monte, la sera di

martedì 30 agosto 
presso lo stabilimento balneare
MARINAGRANDE DI VISERBA 
via DATI 19/g 47900 RIMINI 
a partire dalle ore 20,30 
festa di accolgienza con reading 
di autori e giurati del concorso Insanamente 

saranno i presenti alcuni dei vincitori pubblicati nel libro omonimo

Stefano Sansoni porta in scena
II manicomio di Ginevra

Laura Fabbri, la vincitrice più giovane, propone il suo
Ci sono viaggi


Alessandra Pederzoli legge il racconto vincitore di Luca Astolfi, Memorie di un diversamente sano

e con brevi letture e testimonianze gli autori Roberto Borghesi e Stefano Maldini, e i giurati Claudio Roncarati (ideatore assieme a Fara Editore del concorso e vincitore del Premio Fortini con La fata fatua e lo psichiatra), Caterina Camporesi e Ardea Montebelli. Modera Alessandro Ramberti.

lunedì 1 agosto 2011

Il Mistero abita anche le nuvole

articolo di Paolo Guiducci pubblicato  su il Ponte settimanale della Diocesi di Rimini
del 31 luglio 2011, relativo al premio Fede a Strisce 2011

Le Pillole di Enrica 10



di Enrica Musio (le precedenti qui)

senza saperlo nemmenoVisto che è estate: molti vanno a fare le ferie, mentre un critico letterario è sempre impegnato a leggere libri. Ho letto da poco il libro di poesie di Sebastiano Adernò Kairos.
Un libro molto suggestivo, pieno di dimensioni poetiche ispirate alla Magna Grecia, alla terra del Sud, al Meridione.
Ma ci sono anche poesie profonde, meditative. Nel libro si percepisce la forza, la rabbia dell’autore, che molte volte deve lottare con la calma, la pazienza e la sana virtù.
Ottima le  prefazione di Massimo Sannelli.
Un ottimo libro che consiglio a tutti, ora tra ombrelloni e spiagge anche tropicali, di leggere: ne vale la pena.



Il libro di poesie di Luca Artioli Suture. la poesia come resinelenza manda un messaggio profondo, mistico, spirituale e religioso. Poesie sublimi.
Il poeta si è ispirato a poeti della mitica Beat-Generation americana. Usa un linguaggio molto velenoso, ma usa anche la grazia. Un buon libro, ne consiglio la lettura.









Nel libro di poesie di Francesco Accattoli La neve nel bicchiere si leggono poesie come custodia e tanta testimonianza relativa al mondo reale, vero. Poesie a tratti, a sprazzi, a piccole immagini. Poesie che insegnano la educazione nella vita.
Un buon libro da leggere.









Alberto Pellegatta ne  L’ombra della salute (Mondadori) raccoglie poesie ispirate dal mondo della salute, delle malattie, degli ospedali; l’autore vuol farci notare la sua paura in merito alla salute, all'ammalarsi e mostra la sua paranoia e la sua fobia; ci parla di visite, di svenimenti, di trasfusioni. Tutto scritto con modi sottili e impeccabile.
Con tratti di una esperienza con una sensibilità molto esistenziale.
Poi l’autore oltre a mostrarci di essere un bravo poeta, è anche un bravo giornalista di articoli e servizi sui viaggi, sulle mete turistiche, che lui pubblica su riviste di enigmistica. Un ottimo libro da leggere.





Le poesie di Andrea Ponso raccolte ne  I ferri del mestiere (Mondadori) ci mostrano il suo incessante desiderio ossessivo della dimensione umana. Usando i ferri del suo mestiere, che sono la poesia e le parole. L’autore compone versi aspri e profondi, ma forse con una esistenza un po’ troppo anacronistica. Un buon libro da leggere.