giovedì 30 maggio 2013

La danza della Vita: testi di Filippo Carli, Mauro Bergonzi e Antonia Tronti, video di Filippo Carli


Il nostro mondo occidentale è un mondo evolutissimo in cui la mente e l'intelletto sembrano aver occupato tutto lo spazio vitale privandoci del contatto profondo con l'essenza della vita. Che cosa è la bellezza? Che cosa ha perso l'essere umano che lo rendeva innocente davanti al miracolo della vita? Perché nei villaggi poveri dell'India rurale le persone sorridono all'esistenza? Non l'India dei guru o della religione ma l'India della semplice quotidianità compare in questi due brevi film di 25 minuti, due quadri in cui a ttraverso il silenzio delle immagini si ripristina il contatto con i valori essenziali della vita e la gioia del vivere. Nel libro i tre testi di Filippo Carli, Antonia Tronti e Mauro Bergonzi approfondiscono i temi trattati nei film.

GLI AUTORI DEI VIDEO E DEI TESTI

FILIPPO CARLI in origine pittore e fotografo, cerca di ripristinare uno spazio di guarigione interiore attraverso il silenzio delle immagini e l'ar te del racconto. Ha prodotto la serie Camminare nel 1999, collaborando con poeti e scrittori come Erri De Luca e Edoardo Albinati. Per Fazi editore ha realizzato. Sopralluoghi con il poeta Valerio Magrelli. Per la Rai numerosi ritratti di artisti del '900.

MAURO BERGONZI è docente di Religioni e Filosofie dell'India all'Università «L'Orientale» di Napoli e socio analista del Centro Italiano di Psicologia Analitica. Da diversi anni conduce gruppi di «condivisione dell'essere» (sat-sang) a Roma e a Bologna. Con le ed. Mondadori ha recentemente pubblicato Il sorriso segreto dell’essere.

ANTONIA TRONTI è insegnante di yoga e studiosa di spiritualità indiana e cristiana. Collabora con i monasteri camaldolesi, l’associazione Oreundici, la rivista Appunti viaggio e la casa editrice Appunti di Viaggio-La Parola, per cui ha curato i testi di Griffiths e Kuvarapu. Tra le sue pubblicazioni: … e rimanendo lasciati trasformare e Impara da (ed. Servirtium).


VIDEO PIÙ LIBRO formato: 13,5 x 18,5 (cm); Pagine: 142; Prezzo: E 25,00.
CODICE ISBN 978-88-95120-34-8
I DUE VIDEO: NETI NETI e NAṬAR sono opera di FILIPPO CARLI
I TESTI DEL LIBRO sono di Filippo Carli, Mauro Bergonzi e Antonia Tronti
I TESTI SONO SIA IN ITALIANO CHE IN INGLESE

EDIZIONI La parola Appunti di Viaggio - La parola
[00146] Roma, via E. Barsanti 24
T. 06_47825030, Fax 06_20382124
Siti web: www.laparola.euwww.appuntidiviaggio.it
E-m: laparola@appuntidiviaggio.it

lunedì 20 maggio 2013

Biblioteca vivente con Guido Passini a Santarcangelo 25 maggio

Dalle 15:30 alle 18:30 Guido Passini è Biblioteca Vivente!!! Per chi vuole... sarà lì anche con il banchetto dei libri Fara Editore che devolverà l'intero incasso all'organizzazione Davide e Guido Insieme Fibrosi Cistica Trust Onlus. Quindi correte... i libri avranno prezzi speciali!

 


"Festa del libro 2013 - Dei diritti e dei lettori"
Sabato 25 maggio, centro storico
Santarcangelo di Romagna


 

Iniziativa promossa da: Comune di Santarcangelo – Assessorato alla Cultura, FOCUS - Fondazione Culture Santarcangelo - Biblioteca Comunale A. Baldini - IMC Istituti Musei Comunali

In collaborazione con: Assessorati alle Attività Economiche e Servizi Sociali del Comune di Santarcangelo - Centro per le famiglie dell’Unione dei Comuni della Valmarecchia - CET e Centro Zaffiria - Effimera Eventi - Pro Loco Santarcangelo - Associazione Città Viva

Con la partecipazione di Coop Adriatica -  Giovani2000 - Voci nel deserto


Dei diritti e dei lettori propone, in piazza Ganganelli, una giornata dedicata ad incontri con autori, letture a voce alta, laboratori per bambini e mostre. In via Rino Molari gli editori vi aspettano per presentarvi i loro libri. Le librerie di Santarcangelo propongono le ultime novità editoriali.

programma pomeridiano
 
Piazza Ganganelli


Ore 15.30
Identikit del Lettore di Provincia : Giuro di leggere!
Leggiamo chi siamo. A cura del Gruppo di Lettura G.D.L. biblioteca A. Baldini

Ore 16.15
Incontri con gli autori, Giovanni Montanaro (Tutti i colori del mondo – Feltrinelli) e Laura Pariani (Il piatto dell’Angelo - Giunti). Conduce Emiliano Visconti

Dalle 16.30 alle 19.30
Ascolta la Biblioteca vivente. Diritti da raccontare: libri da ascoltare. A cura dell’Associazione 2000Giovani – Portici palazzo comunale – piazza Ganganelli


Ore 19.15
Voci nel deserto, la raccolta differenziata della memoria. A cura del Gruppo Voci Rimini

Dalle 16.30 alle 19.30
Bookcrossing - Libri in Libertà... porti un libro, ne prendi un altro... vivi il Musas
Al MUSAS, via A. Costa
Nel frattempo, per i bambini

Ore 15-.30- 17
Laboratori per bambini a cura del Centro Zaffiria e Munari’s Augmented.
Libri Pop-Up e AR book
Un foglio, una piega, un tablet possono bastare per raccontare storie a prima vista invisibili? Dai libri pop up alle storie in augmented reality.
Ideato e e condotto da Giovanni Porcari
Libro matto da (ri)legare
Possiamo immergerci nella lettura di una storia anche senza voltare pagina?
Trasparenze: per costruire libri matti, dove ogni pagina fa capolino tra le pagine.
Ideato e e condotto da Wanda Mannino
Disegnare con i caratteri mobili
Un foglio più un foglio, fa un libro. Un segno più un segno, fa un disegno. E il carattere mobile?

Ludus latrunculorum. L'antico gioco dei latruncoli
Schiera il tuo esercito sulla scacchiera e combatti per vincere la battaglia. Il gioco più popolare del mondo romano.
Dagli otto anni in su. Gratuito. A cura di Bookstones.

Ore 17-17.30
Una pausa con i libri e le storie a cura del gruppo “Reciproci racconti”.
I lettori volontari della biblioteca A. Baldini presentano: "Portiamo in piazza la biblioteca!"

Ore 17.30-19
Laboratori per bambini a cura del Centro Zaffiria e Munari’s Augmented


Le Mostre:

La Poetica Delle Cose, mostra delle scuole materne e scuola elementare F.lli Cervi di Sant'Ermete del II Circolo di Santarcangelo. Al Musas, dalle 16.30 alle 19.30.

Extramedia in mostra: i bambini e gli adolescenti di Santarcangelo, Verucchio, Torriana e Poggio Berni raccontano i laboratori attraverso foto e video, nel gazebo multimediale.
Il Centro per le famiglie è in piazza per far conoscere servizi e opportunità per genitori e bambini.

Liberiamo le mani: a settembre le insegnanti del CET si sono formate con l’artista parigino Hervé Tullet. I loro lavori diventano costruzioni giganti per città immaginarie. Gioco libero (senza scarpe).


Nota: in caso di pioggia, il Gruppo di Lettura G.D.L., l'incontro con gli autori, la Biblioteca vivente troveranno riparo nella biblioteca A. Baldini

Info
Dei diritti e dei lettori programma bambini: Centro Zaffiria - Valeria Mordenti e Alessandra Falconi, tel 0541341642, facebook: Centro Zaffiria
Dei diritti e dei lettori programma adulti: Biblioteca A. Baldini, tel. 0541356299 mail: biblioteca@comune.santarcangelo.rn.it 

domenica 19 maggio 2013

L’eredità delle principesse, a cura di Emilia Dente, Montefusco, 2013

di Vincenzo D’Alessio

Emilia Dente,  montefuscana, nata a Baden (Svizzera), la conosciamo come fervida poetessa e appassionata recensora. Da bambina fece ritorno, con i  genitori, nella città che l’ha vista protagonista di tante iniziative tese a valorizzare la sua terra, in una provincia dimenticata e maltrattata dall’emigrazione e dai terremoti, questa di Avellino. Il suo viscerale amore per quell’insieme di storia, arroccata a 700 metri sul livello del mare, si riserva oggi in un lavoro dignitoso  dal punto di vista storico e antropologico.
Il titolo del libro, voluto dal Comune di Montefusco, è L’eredità delle principesse e reca nel sottotitolo: Storia e storie del pizzillo montefuscano, in più l’aggiunta del “Museo del Risorgimento meridionale” allestito nel Carcere borbonico definito dagli storici “Lo Spielberg” dell’Irpinia, dove è collocata anche una sezione documentaria dell’attività del Tombolo, attività ancora oggi diffusa nel contesto cittadino. L’epigrafe al testo recita: “Dedicato alle donne di Montefusco, le pizzillare di ieri e di oggi che intrecciano emozioni e pensieri nel ricamo della vita.”
 Sottolineo, per chi leggerà questo agile volumetto, che la curatrice del Museo del “pizzillo” (leggi merletto al Tombolo) è la stessa Emilia Dente. A lei si deve anche un validissimo depliant sul Carcere Borbonico di Montefusco stampato su proposta dello stesso Comune negli anni Novanta. Lo studio sul “merletto” finissimo che viene realizzato in questa antichissima città, già capoluogo di Principato, sede della Regia Udienza, amata dai Re che la predilessero con la propria famiglia soggiornandovi in età Angioina e Aragonese, è solo agli inizi. Proprio alle “principesse” veniva insegnata l’Arte del Merletto, che prese poi il nome di “pizzillo” in questa parte della provincia di Avellino.  Le monache domenicane, d’istanza nel Convento di Montefusco, hanno continuato questa attività ,dalla loro fondazione nel XVII secolo, trasmettendola  alle giovani novizie che entravano in convento  e che spesso tornavano alla vita civile.
 Quanta importanza avesse , non solo per l’economia che realizzava quanto per la dignità sociale  l’apprendere quest’Arte, lo si può comprendere ancora oggi visitando l’aula della chiesa di Santa Caterina in Montefusco:  su un altare laterale c’è una bellissima tela dell’Annunciazione, dipinta sul finire del XVII secolo,  in un angolo è riprodotto il tombolo con i fuselli, proprio accanto alla Vergine Maria raggiunta dall’annuncio dell’Angelo. Una lunga tradizione artigianale che ha visto impegnati anche molti uomini, chiamati “maestri pizzillari”. Non mancano nel testo Atti che riportano nomi di bambine, scomparse in tenera età, già dedite a quest’Arte.
 La Nostra autrice ha finalmente liberato l’energia che il suo “cuore di donna” conteneva da tempo per la terra d’origine e per quell’immenso tramestio di mani che per secoli ha valorizzato, silenziosamente, il magnifico tesoro d’Arte che è il merletto di Montefusco. La scrittura è limpida, ben articolata nei capitoli, documentata ampiamente, con  l’aggiunta della sincronia poetica: non si può pretendere da una poetessa un linguaggio scarno e puntiglioso tipico degli storici. Riporto, per il lettore, un periodo ripreso dal testo a sostegno della mia tesi: “È questa indagine che cerca nel canto dei fuselli le voci perdute nel tempo e nelle fredde carte riconosce il calore di un sorriso lontano, deviando dal rigore dell’ufficialità per perdersi e ritrovarsi nell’intricato pizzillo della memoria montefuscana.”
Il corredo fotografico di questo volumetto è ricchissimo. Come molteplici sono le emozioni che queste immagini suscitano nel lettore.
Dopo il volume di Angelo Cennerazzo, dal titolo “Sulle tracce del tombolo: Montefusco ieri e oggi” del 2004, questo volumetto di Emilia Dente segna unaltra tappa importantissima  alla riscoperta della valenza socio culturale dell’artigianato  nelle terre dell’Irpinia, a poca distanza dalla movimentata società della capitale del Regno delle Due Sicilie, Napoli, che tanta influenza ha avuto  nell’entroterra campano.

  

lunedì 13 maggio 2013

Formalina all'Università di Catania 21 maggio

sul libro
scheda del libro

Testimone fedele: Ioan Ploscaru

nota di lettura di AR
 

Il corposo eppure leggibilissimo volume di memorie Catene e terrore. Un vescovo clandestino greco-cattolico nella persecuzione comunista in Romania, a cura di Marco Dalla Torre, traduzione di Mariana Ghergu e Giuseppe Munarini (che ha curato anche le note all’edizione italiana), EDB, Bologna 2013, pp. 474, ci offre un quadro storico-religioso della persecuzione a cui sono stati sottoposti fedeli, sacerdoti e vescovi della chiesa ortodossa unita a Roma già dagli ultimi anni del Seicento e che il regime comunista negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale aveva dichiarato fuorilegge forzandone l’assimilazione alla chiesa ortodossa di Romania. Le vessazioni, le torture, i lavaggi del cervello, la “sparizione” o la morte in seguito ai maltrattamenti degli irriducibili ai voleri della Securatate, di cui ci parla in prima persona il vescovo clandestino Ploscaru (1911-1998) sembrano appartenere ad altri tempi e ad altri luoghi: eppure siamo in Europa e sono passati appena pochi decenni! Solo una fede incrollabile e una carità infinita nei confronti dei compagni di cella (quando al Nostro non era riservato il trattamento della “nera” al buio e in catene) possono spiegare il superamento di tale autentico calvario in varie carceri della Romania fino alla libertà molto vigilata dell’agosto 1964 (era stato arrestato la prima volta nell’agosto del '49) che il vescovo commenta con questi versi: “Signore da chi andremo? / Quelli che conoscevamo sono morti o se ne sono andati, / gli altri, uscendo sulla soglia, alzeranno le spalle / e ci guarderanno attoniti, sorpresi, / (…) / gli amici nei cimiteri croci. (…)” (pp. 441-2). Il racconto di Ploscaru è condotto sempre con grande empatia, cercando e trovando qualche barlume di umanità anche in aguzzini e delatori e “approfittando” della prigionia per testimoniare la propria fede: “In nessun luogo come in prigione, si può venire a contatto contemporaneamente con l’anima di tante persone. Dio ha fatto un grande dono tanto a noi quanto a quelle anime sofferenti. Fuori, in libertà, le occasioni di parlare con tanta gente sono rarissime. E quando pure si presenta l’occasione, la disposizione dell’anima è poco ricettiva.” (p. 133); “In realtà la libertà è molto relativa, diversamente concepita, definita e sperimentata. Dal punto di vista spirituale, noi prigionieri eravamo più liberi di coloro che erano fuori. Noi mai abbiamo portato uno striscione senza volerlo e mai abbiamo pronunciato slogan in cui non credevamo! Quelli fuori, per salvare non la loro libertà, ma il lavoro, il cibo e le relazioni, a volte avevano sacrificato le convinzioni e gli ideali di vita. Qual è allora la grande libertà? La vera libertà?” (p. 170); “Grazie alla preghiera l’anima fortificava il corpo, lo illuminava e gli elargiva il potere di resistere, di sopportare, di affrontare la sofferenza, la solitudine, la fame.” (p. 172); “… ho desiderato compiere la volontà di Dio, nel posto e nelle circostanze in cui Lui mi voleva. Questo abbandono alla volontà divina mi dette una pace serena e fiduciosa per tutto il periodo della mia detenzione.” (p. 240).
Nonostante la crudezza dell’esperienza vissuta, non mancano passaggi divertenti e ribaltamenti di luoghi comuni: “Quando un romanziere fosse a corto di fantasia per i suoi libri, entri nelle prigioni e troverà le vicende più autentiche: ogni detenuto è un romanzo. (…) In tutte le prigioni e le celle in cui sono stato in questo lunghissimo tempo, non ho trovato sui muri che disegni di croci e iscrizioni religiose: fuori – sui cancelli, nelle stazioni e negli altri luoghi pubblici di transito – non si leggono che scritte oscene: il contrasto è sorprendente” (pp. 322-3). E parlando del vescovo Ioan Bălan: “Desiderava molto conversare o, per essere più precisi, desiderava parlare lui. Raccontava i suoi ricordi senza interrompersi…” (p. 377).
Sull’inutilità, per chi ha profonde convinzioni, dell’indottrinamento politico, Ploscaru scrive: “Riguardo al giornalismo circolava una barzelletta: nei giornali [di partito] ci sono tre specie di notizie: certe, probabili e false. Certi sono il titolo e la data; probabili le previsioni del tempo; il resto è falso.” (p. 416); “Circolava una storiella: un cane scappato dal Paese era arrivato a Parigi, dove, debole e affamato, vagabondava in Bois de Boulogne. Un cane francese gli domandò: «Non avevi cibo nel tuo Paese?».«Sì che c’era!». «Non hai avuto una casa?».«Sì, l’ho avuta». «Non hai avuto soldi?».«Sì, li avevo».«Allora perché sei scappato?».«Perché non mi lasciavano abbaiare!»…” (p. 432).
Un libro che ci fa apprezzare il fatto di godere di libertà che in tante parti del mondo sono conculcate, che ci aiuta a riscoprire la fede come un grande dono, che illumina un settore dei storia europea poco noto e che ci ricorda come il male e la disumanità possano prendere piede facilmente se non vigiliamo sulla correttezza delle relazioni civili.

Stefano Fratoni, anatomopatologo, recensisce Formalina

Caro Gaetano

ho letto Formalina.


Questo è il mio modestissimo commento volto ad esprimere le sensazioni e le riflessioni che il tuo libro mi ha suscitato.
Al di là della poetica rappresentazione del mestiere del patologo (rappresentata con meravigliosa sensibilità nei versi di Montale, nonché quotidianamente alle prese con l'intepretazione pirandelliana della filosofia di Bergson), credo si possa apprezzare dalle pagine del libro, come questo nostro mestiere abbia costituito l'occasione
per far emergere temi e problematiche più grandi di noi e dei nostri vetrini.
Mi ha colpito la figura dell'uomo Ruggero – prima ancora
dell'anatomopatologo – come "Perdente".
Perdente d'innanzi alla lotta incessante per la vita.
Ruggero è un perdente, sì ma un po' vanitoso: non esce alla scoperta del mondo perché convinto che prima o poi, sarà il mondo a bussare alla porta della sua stanza. Mondo le cui ombre saranno  illuminate dalla luce del suo microscopio.
Ma la storia rende Ruggero perdente non solo di fronte alla malattia (d'innanzi alla quale non può nulla), ma nella vita.
Ruggero è solo, vive una fugace parentesi affettiva, ed alla fine solo rimane.
Un uomo abituato a guardare la vita attraverso una "protesi" (la luce prodotta dalla lampadina del suo microscopico), ma che preferisce l'ombra alla luce del sole. Un perdente afflitto dal male di vivere che non lo molla mai.
Non basta un microscopio per illuminare il mondo.
E forse questo libro vuole raccontare proprio questo.
Arriva allora la poesia, strumento che forse concorre (oltre la luce del microscopio!) a farci percepire meglio il mondo nelle sue infinite possibilità.
La poesia forse come l'unica terapia, il solo strumento, il più adeguato per indagare il mondo spirituale. Mondo questo, di fronte al quale la scienza, che separa e ritaglia, si rivela essere impreparata, strumento inadeguato, fragile ed incompiuto, in una sola parola
insufficiente ad indagare l'essenza della realtà dei fenomeni che si comportano purtroppo come un tumore, in modo capriccioso e mutevole: irrazionale.
Scienza che non sa curare né guarire la frattura insanabile tra individuo e mondo.
Ruggero, metafora della scienza, come tale anch'egli si rivela impreparato, inadeguato a
decifrare i codici di Ambra che è un essere irrazionale: Ambra è stata il tumore di Ruggero. E di fronte alla irrazionalità, sia nella medicina sia nella vita, Ruggero perde la sua battaglia.
Mi ha affascinato anche la figura di Ambra: emerge prepotente, la figura di questa donna, scrittrice dal carattere forte, dura, oserei dire persino spietata, crudele, cinica. Ma dipinta con grazia. Una donna che (illudendosi) si getta nell'esperienza di vivere le sensazioni come se volesse speriementare di continuo la sua sensibilità, contrariamente a Ruggero il quale si illude di aver trovato in lei finalmente il suo "rifugio".
Ma Ambra nega a Ruggero questo ruolo, rifiuta questa funzione di "tana esistenziale".
Ho avuto l'impressione che Ambra con la sua condotta volesse rinascere "ogni volta". In lei c'è come una spinta irrefrenabile al continuo reiterarsi di una illusione, divendo essa stessa vittima della "recidiva".
Questo la conduce a perdere quello che forse sarebbe stato il vero amore della sua vita, incontrato per caso. Forse lo ha saputo riconoscere ma non ha avuto il coraggio di accettarlo sino in fondo.
Anche Ambra ha sbagliato diagnosi! Anche lei è perdente.
Anche Ambra ha affidato (analogamente alla luce del microscopico per Ruggero) alla scrittura forse scopi che non le sono propri.
Non basta un romanzo per illuminare il mondo.
Ha infine scritto il suo romanzo, ed ha così ucciso Ruggero e la loro storia collocandoli su carta, tra quelle lettere. È tutto quello che le rimane. Solo carta. Null'altro. Per citare De Andrè all'ultima strofa nella Ballata dell'amore cieco:

Fuori soffiava dolce il vento
e lei fu presa da sgomento

quando lo vide morir contento.
Morir contento ed innamorato

quando a lei niente era restato

non il suo amore non il suo bene
ma solo il sangue secco delle sue vene.


Ruggero ed Ambra sono entrambe perdenti e non risolvono l'enigma, non trovano il filo di Arianna che consentirebbe loro di non rimanere prigionieri del labirinto della vita. Ma chi non lo è.
Il pensiero che non siamo tutte le cose possibili che sarebbero potute essere ma che non lo sono state, e che quindi siamo necessariamente quello che ci è unicamente accaduto, credo sia un tentativo di motivare il perché quello che ci accade, accade necessariamente,
sempre e comunque.
Ambra e Ruggero, non sono sfuggiti al destino del fallimento; sono perdenti di fronte a sé stessi perché non hanno buttato "la maschera".
Come rimproverava Nietzsche a Schopenauer: "Non ha avuto la forza di dire ancora, per un'altra volta, sì!"
Ho forse critto un mucchio di stupidaggini, ma sono le sensazioni, le impressioni e le riflessioni che questo libro mi ha suscitato.
Grazie per questo bel romanzo.

Un abbraccio
Stefano

Dr. Stefano Fratoni
U.O.C. Anatomia Patologica
Presidio Ospedaliero S. Eugenio - Roma

giovedì 9 maggio 2013

Su La collina del vento di Carmine Abbate

Mondadori, 2012
recensione di Vincenzo D’Alessio  

Il romanzo dello scrittore meridiano Carmine Abbate, che reca il titolo “La collina del vento” (Mondadori,2012), a mio avviso andrebbe coniugato con i versi della poesia “I padri della terra se ci sentono cantare”del poeta lucano Rocco Scotellaro ( Tricarico,1923- Portici(NA),1953) per l’energia che lega generazioni di uomini veri, amanti della sincera libertà a costo del dolore e della propria vita,  figli della dura terra meridionale,  dove ogni singolo individuo traccia il proprio passaggio con un solco solitario, a volte ripreso dai figli:  questo romanzo è uno dei pochi esempi costruttivi di ritorno alla terra d’origine. Già l’epigrafe posta all’inizio del romanzo recita: “A mio padre, / come promesso.” , ed annuncia il legame profondo di sangue e di eventi che segnano la scrittura e le figure dei protagonisti.
Il Nostro ci ha abituato, nella sua felice produzione, al disvelamento di quella terra che conosciamo con il nome di Calabria , che in definitiva conosce soltanto chi in quei luoghi nasce e ritorna: cito il romanzo “La festa del ritorno” (Mondadori, 2004) dove la figura paterna emerge già in tutta la sua forza e giganteggia. Un’ indissolubile scia d’affetti, tiene il kairos ,  attraendo il lettore nello specchio dove nomi, luoghi, scoperte archeologiche, paesi, eventi, attraversano gli occhi e scendono nell’anima fino al travolgimento. Il télos è questo: fare memoria collettiva delle vicende che appartengono all’apparenza ad una singola famiglia, gli Arcuri. Non una saga famigliare ma l’epifania della forza evocatrice che conduce alla scoperta di verità di esistenze destinate, altrimenti, alla macina anonima del Tempo.
L’essenza è nell’uso sapiente del dialetto calabrese, che diviene tutt’uno con la lingua italiana,  a suggellare l’appartenenza all’umanità viva e vera che nella terra dorme da millenni e viene risvegliata per essere d’aiuto a chi procede nel tempo: in questo modo, nel romanzo di Abbate, l’archeologia è arricchimento, attesa di verità nascoste, ricchezza per una terra di miti e di eroi antichi. L’antico si unisce al nuovo, cronotipi,  nelle bellissime pagine del paragrafo 3, dove la nascita di Michelangelo, papà del protagonista, sulla collina “del vento”, il Rossarco, impregna le zolle del sangue del nuovo  unendosi simbolicamente a quello degli antenati, gli antichi greci nascosti nel cuore della terra: ”Il bambino era adagiato sopra i fiori vellutati di sulla, rosso vivo sul rosso porpora, le palpebre appiccicate, il cordone ombelicale che ancora lo teneva legato alla madre. Lei sorrideva, esausta per quello sforzo intenso di pochi minuti, e Arturo era smarrito, “ ohi Cristo mio, e mo’ ?”, non sapeva cosa fare, guardava il padre con le mani tra i  capelli, “ e mo’, e mo’”. (pag. 31)
Il racconto, sul filo della memoria fresca e onnipresente, sembra procedere geneticamente al maschile, mentre a tirare le fila del destino è l’archetipo della madre, Terra d’appartenenza;  sono le figure femminili nel romanzo e la stessa collina degli eventi. La donna è paziente, fiera, muliebre, appassionata, sincera, come nel capitolo dove viene descritto il tempo del fidanzamento tra Arturo e  Lina. Forte il rapporto tra madre e figlio, come nel capitolo 9 , bella la presenza dei nonni nella famiglia a continuare tradizioni antiche fatte di ricette e buoni consigli.
Tutto il romanzo vive dell’eredità di una terra che non ha padroni se non nei registri notarili: padroni e contadini una lotta interminabile che ha prodotto soltanto sofferenze e lutti: “Il 29 ottobre del 1949 nel fondo Fragalà di Melissa, a un tiro di schioppo da Spillace, la celere sparò contro dei contadini inermi uccidendone tre, due uomini e una donna. La loro colpa? Stavano occupando le terre incolte del barone Berlingieri.” (pag.193) La eco di questi eventi è possibile ascoltarla in tutti gli scrittori, e i poeti, del Sud dell’Italia(vedi Scotellaro di “Pozzanghera nera”) che è poi uguale al Sud di ogni continente. Le storie per il possesso della terra che non apparterrà a nessuno se non a chi l’ha imbevuta del proprio sudore, della propria passione.
Nel romanzo di Carmine Abbate le voci dei nuovi lavoranti, salvati da una tragica fine sotto un mare di terra, è simile a quella di coloro che duemilacinquecento anni fa approdarono sulle coste calabresi, campane, siciliane, fondando quella meraviglia di prosperità che prese il nome di Magna Graecia. Tutto accadde qui, tra Crotone, Sibari, Cirò, Schiavonea, Castrovillari e chissà quante altre località e città greche che  aspettano di essere portate alla luce: “ Una città è come una persona, nasce cresce e muore, a volte sparisce lasciando labili tracce che solo un occhio attento può scoprire. Una città ha un’anima. Quella non scompare mai. E’ dentro ogni spicchio di terra, è tra l’erba, nell’aria.” (pag.221) Accanto alle città i nomi degli archeologi, spesso Soprintendenti, che hanno valorizzato con la loro passione le scoperte effettuate: Paolo Orsi, Francesco Antonio Cuteri, Pietro Giovanni Guzzo e il meridionalista Umberto Zanotti-Bianco.
Il libro del Nostro mi risveglia nel cuore il percorso seguito da un altro grande scrittore calabre Saverio Strati, molto vicino per tematiche ad Abbate specialmente nel romanzo “Il Nodo” (Mondadori,1965) dove nell’introduzione Stefano Lanuzza scrive: “ Il protagonista di questa solo apparentemente semplice storia di affetti, intensi e pure scontrosi fino alla crudeltà, ha una fisionomia non diversa da quella di altri personaggi di Strati, che affondano le radici nel mondo meridionale, sospinti nelle loro azioni come nei loro sogni da una aspirazione di rivalsa e di libertà. La sua paura del matrimonio, un anello appena  del “nodo”, la trepidazione cui non sa sottrarsi nello stabilire un legame tra sé e il figlio bambino, hanno origini remote, si legano a nodi ben più occulti e indissolubili: quelli della vita e della società calabresi, che costituiscono la matrice drammatica di tutta l’opera narrativa di Strati.”
 Non è casuale che Carmine Abbate riceve con questo romanzo il Super Campiello 2012; lo stesso accadde a Saverio Strati con il romanzo “Il selvaggio di Santa Venere” nel 1977. Il primo vive, oggi, in Trentino e il secondo a Scandicci (FI). Entrambi hanno nel cuore una terra bellissima ma sovente senza pietà, l’archetipo solare che dà vita alla scrittura, al racconto, al libro. La distanza aiuta, irrompe?
Quando nelle ultime pagine del romanzo Rino Arcuri cuce l’intera sequenza degli accadimenti attraverso la voce del padre Michelangelo e teme per la fine della sua vita compare il protagonista silenzio dell’intero racconto, il vento, vivo nelle orbite del giovane discendente di coloro che hanno attraversato il Secolo Breve, codificando il proprio contratto esistenziale, per mezzo di un “bene” terreno, ricco di beni senza tempo: “Ho lanciato un’occhiata fugace nello specchietto retrovisore e ho rivisto il mio sguardo da ragazzo, quando tornavo a Spillace per le vacanze estive e lui mi veniva incontro a braccia aperte. Ero felice, si. Perché nel fulgore di quella mattinata finalmente limpida mio padre era ancora vivo e mi aspettava sulla nostra collina per un ultimo abbraccio, il più importante della mia vita.” (pag. 257)
  
      

giovedì 2 maggio 2013

Fare Business in India

di Stefano Martello e Sergio Zicari, Franco Angeli 2013


Su Learn Sicilian / Mparamu lu sicilianu

Gaetano Cipolla

Learn Sicilian / Mparamu lu sicilianu
Edizioni LEGAS 2013

 

 Malgrado, dall’Unità d’Italia e dalla affermazione del Toscano quale lingua dei sudditi del Regno, i linguisti a più riprese ne abbiano annunziato l’imminente sparizione, il Siciliano ha provato di essere resistente e, quantunque la sua influenza si sia ristretta alle sfere familiare e amicale, esso è tuttora parlato e capito dalla grande maggioranza degli Isolani.  

L’organizzazione culturale statunitense Arba Sicula, nel corso degli ultimi 33 anni, ha dedicato ogni sua energia alla promozione della lingua e della cultura siciliane nel mondo.
Gaetano Cipolla è l’anima di Arba Sicula.
Già professore di Lingua e Letteratura Italiana presso varie università americane, la St. John’s University di New York per ultima, nato in Sicilia nel 1937 ed emigrato negli Stati Uniti nel 1955, Presidente dell’Associazione U.S.A. “Casa Sicilia”, Presidente e Direttore di Arba Sicula, rivista bilingue che ospita articoli in inglese e siciliano, e del periodico Sicilia Parra, Ambasciatore culturale della Regione Sicilia nel mondo, vincitore di prestigiosi premi inclusi il “Talamone”, il “Thrinacria d’argento” e il “Proserpina”, Gaetano Cipolla ha tradotto in inglese parecchi poeti siciliani e fra loro: Nino Martoglio, Giovanni Meli, Antonio Veneziano, Nino Provenzano, Vincenzo Ancona, Senzio Mazza e Salvatore Di Marco.

Premesso che in Sicilia ci sono molte parlate, che il Siciliano è largamente usato dai poeti (mentre per la prosa è tutt’altra faccenda), che, sostiene convintamente Salvatore Camilleri, il Siciliano può esprimere qualsiasi concetto: “la storia, la filosofia, la sociologia, tutte le scienze, non in quanto tali, ma come patrimonio culturale che chi scrive brucia nell’atto della creazione”, la decisione di scrivere una grammatica del Siciliano – appunta Gaetano Cipolla, nelle note a corredo del volume – non è stata facile.   

Prima, però, di addentrarci nella “lettura” e di trarne delle sostanziali considerazioni, diamo contezza, oltre alla ben nota Grammatica Siciliana di Giuseppe Pitrè del 1875, di talune altre recenti pubblicazioni in argomento: Introduction to Sicilian Grammar di J. Kirk Bonner del 2001, Grammatica Siciliana di Salvatore Camilleri del 2002, Sicilian the oldest romance language di Joseph F. Privitera del 2004, Per lo studio del siciliano di Rosalba Anzalone del 2006.
Questi studi dimostrano irrefutabilmente quanto l’interesse degli studiosi, nazionali ed internazionali, sia ancora vivissimo nei confronti del Siciliano e al contempo quanto questo sia tuttora presente e vitale nella realtà e nella cultura del popolo siciliano. E ciò a dispetto del rapporto ATLAS del 2009, relativo alla “salute” delle lingue del mondo, il quale ha collocato il Siciliano nella V categoria, quella ossia delle “lingue vulnerabili”, rimarcandone il peggioramento rispetto alla precedente posizione rilevata nel Libro Rosso dell’UNESCO del 1999, che il nostro idioma aveva incluso nella VI categoria, ovvero “Lingue non in pericolo [di estinzione] con una trasmissione sicura alle nuove generazioni”.

Nello scrivere questa grammatica – annota Gaetano Cipolla, ricollegandosi ad uno dei passi appena premessi – ho dovuto scegliere quale parlata favorire.
Il mio lavoro di traduttore – prosegue – mi ha messo in contatto con i testi di Giovanni Meli di Palermo, Giuseppe Marco Calvino di Trapani, Domenico Tempio e Nino Martoglio di Catania, Luigi Pirandello di Agrigento, Corrado Di Pietro di Siracusa, Rosa Gazzara Siciliano di Messina e tanti altri di svariate parti della Sicilia, per cui il Siciliano che io uso nelle traduzioni e in questa grammatica è una sorta di koinè.
Registriamo, in soccorso di tale scelta, che una “koinè regionale, ove la lingua, legata alla etimologia ma non sorda al rinnovamento linguistico, non è catanese, né palermitana”, è stata sin dal 1966 praticata da Salvatore Camilleri nella sua silloge Sangu pazzu.

Il libro, bilingue Siciliano e Inglese, si apre con degli speciali ringraziamenti ai proff. Salvatore Riolo e Giovanni Ruffino, rispettivamente delle Università di Catania e di Palermo, ed altresì a J. Kirk Bonner, Mario Gallo, Gaetano Consalvo e Marco Scalabrino per la loro consulenza e il loro sostegno. Ulteriori ringraziamenti l’Autore rivolge poi a quanti hanno reso più facile il suo compito e fra loro: Corrado Avolio, Giuseppe Pitrè, Salvatore Camilleri e Frederick Privitera.
Suddiviso in più parti: una Introduzione, una Lezione preliminare, Capitoli da 1 a 18, una Appendice contenente un essenziale vocabolario siciliano – inglese e viceversa e l’indice delle registrazioni audio racchiuse sul DVD accluso al libro, questo – sottolinea Gaetano Cipolla – è stato concepito con un preciso proposito: quello di insegnare agli studenti le quattro abilità linguistiche: capire, leggere, parlare e scrivere il Siciliano. Siciliano che, notoriamente una lingua romanza al  pari di Italiano, Spagnolo, Francese, Portoghese e Rumeno, condivide nondimeno con l’Inglese un vasto patrimonio lessicale, giacché “circa la metà delle parole inglesi derivano dal Latino”.
L’introduzione richiama, per sommi capi, le origini del Siciliano che, viene ribadito, fu la prima delle lingue regionali d’Italia a guadagnarsi la qualifica di lingua di poesia.
Esso, viene precisato, fiorì sotto il regno di Federico II nella prima metà del 13.mo secolo e i poeti che appartennero alla Scuola Poetica Siciliana, tanti di loro non nativi della Sicilia, scrissero nel linguaggio parlato a Palermo alla corte imperiale, la Magna Curia, di Federico II.
Il Siciliano fu, quindi, il linguaggio usato per redigere gli atti del parlamento siciliano fino alla metà del 16.mo secolo, allorché il toscano gli subentrò nella stesura dei documenti ufficiali.
Vale il caso di ricordare in questa sede che addirittura il sommo Dante, nel De Vulgari Eloquentia, attestò che “tutto ciò che gli italiani poeticamente compongono si chiama siciliano”; che nella Sicilia del Cinquecento operavano due Università, quella di Catania e quella di Messina; che nel 1543 il siracusano Claudio Mario Arezzo propose di istituire “il siciliano come lingua nazionale”; che il Siciliano può vantare Vocabolari, non ultimo il monumentale in cinque volumi a cura di Giorgio Piccitto, Giovanni Tropea e Salvatore C. Trovato, testi di Ortografia, di Grammatica, di Critica, come pure autori di levatura assoluta.

Il volume, come comprensibile, affronta, nelle sue 336 pagine, una miriade di temi.
Gaetano Cipolla si sofferma su alcuni dei segni dell’alfabeto siciliano: la dd, la c e la j, fra essi. La dd, da non confondere con la doppia d che è un segno diverso, derivante dal tardo-latino (capillus, caballus, etc.), talmente fuso nella pronuncia da essere considerato un segno a sé stante e non il raddoppiamento di due d, rappresenta il suono più caratteristico della lingua siciliana. “Infatti la suddivisione sillabica di addivintari, ad esempio, è ad-di-vin-ta-ri, mentre quella di cavaddu – precisa Salvatore Camilleri – è ca-va-ddu”. Da rilevare inoltre che il suono di d è dentale, mentre quello di dd è cacuminale. Non sono mancati nel tempo i tentativi, non fortunati, di sostituire il segno dd con ddh o ddr e con i puntini in cima o alla base di dd. La c, dolce e strisciante, derivante dal fl latino, flatus, flos, flumen e di conseguenza in siciliano ciatu, ciuri, ciumi, altrove e in altri tempi – già Lionardo Vigo nella seconda metà del 1800 ne sollevò il problema della determinazione ortografica – è stata graficamente resa con x, con xh, con ç o con sc. Tuttavia, mutuiamo da Corrado Avolio in Introduzione allo studio del dialetto siciliano del 1882, “ultimamente, in una radunanza di dotti cultori di lettere siciliane tenuta a Palermo, si stabilì di trascrivere con “c””, senza dunque ricorrere ad alcun distinguo grafico. La j è un segno che ha sovente suscitato l’attenzione degli studiosi. Salvatore Giarrizzo, nel Dizionario etimologico siciliano del 1989, definisce la j semivocale latina. Se viceversa, come da altri sostenuto, fosse una vocale la j dovrebbe ubbidire alla regola di tutte le vocali, a quella cioè di fondersi col suono della vocale dell’articolo che lo precede, dando luogo all’apostrofo. Così come noi scriviamo l’amuri (lu amuri) dovremmo pure scrivere l’jornu, l’jiditu … cosa che nessuno si sogna di fare, appunto perché, non essendo la j una vocale, non vi è elisione e quindi non è possibile l’apostrofo, il quale si verifica all’incontro di due vocali e mai di una vocale e di una consonante.   

Gaetano Cipolla individua inoltre molteplici peculiarità del dialetto siciliano, talune delle quali di seguito riportiamo.
È regola generale in Sicilia che la “e” e la “o” toniche mutino in “i” e “u” tutte le volte che perdono l’accento tonico, sia che si tratti di verbi, sostantivi, aggettivi o avverbi. Ad esempio: volu - vulari, sola - suletta, lettu - littinu, ventu - vintagghiu, testa - tistuni, morti - murtali … e ancora frenu - frinari, jornu - jurnata, ferru - firraru, pedi - pidata
Nel Siciliano, le preposizioni e gli articoli, contrariamente a quanto avviene nell’Italiano, non si uniscono. Nel linguaggio parlato di tutti i giorni, nondimeno, in svariate località le preposizioni e gli articoli si contraggono e diventano una sola parola. Ecco perciò l’uso degli articoli u, a, i, e delle preposizioni articolate contratte (ô = al, â = alla, = del, = della, = dei, ntô = nel, ntôn = in un, ntâ = nella, ntê = nei o nelle, = col). Se la parola che segue inizia per vocale la contrazione, però, non avviene.  
Di regola il plurale dei nomi, sia maschili che femminili, termina in “i”; ad esempio: quaderni, casi, pueti. Un certo numero di nomi maschili terminanti al singolare in “u” – certifica Gaetano Cipolla – fanno il plurale in “a” alla latina; sono nomi che di solito si presentano in coppia o al plurale: jita, vrazza, corna, ossa, vudedda, gigghia, linzola, dinocchia, cucchiara. Ugualmente cospicui i plurali in “a” dei nomi maschili terminanti al singolare in “aru” (latino arius) significanti, in gran parte, mestieri e professioni. Se ne ripetono i più comuni: aciddara, birrittara, ciurara, dammusara, furnara, ghirlannara, jardinara, libbrara, marinara, nutara, putiara, ruluggiara, scarpara, tabbaccara, uvara, vitrara, zammatara.

E, proseguendo fra i tantissimi argomenti trattati, una interessante pagina attiene ai verbi.
Scontato il ripiegamento del (tempo) passato prossimo a beneficio del passato remoto: parraru per hanno parlato, mancu mi vidisti per neanche mi hai visto, eccetera, nel Siciliano è altresì conclamato il ripiegamento del (modo) condizionale a vantaggio del congiuntivo, ad esempio: si lu putissi fari lu facissi, ci vulissi jiri.    
In argomento, è praticamente estinto il tempo futuro e ogni proposizione pertinente a un’azione futura viene, dunque, costruita al presente e al verbo si associa un avverbio di tempo (ad esempio: dumani vegnu). “Come si può interpretare (quasi filosoficamente) – considera Paolo Messina – questa anomalia? Ecco lo spunto per un nesso fra lingua e cultura, modi di essere e di pensare. È la consapevolezza storica dell’esserci heideggeriano a produrre la riduzione continua del futuro a presente, all’hic et nunc, e ciò nel pieno possesso del passato ormai definitivamente acquisito. I siciliani sono padroni del tempo o, per dirla con Tomasi di Lampedusa, sono Dei. Ma essere (o ritenere di essere) padroni del tempo può voler dire dominare mentalmente la vita e la morte, avere la certezza della propria intangibilità solo nel presente, un presente che si appropria del tempo futuro per scongiurare la morte, ombra ineliminabile dell’esserci. Quello che conta è il presente. Essere e divenire, insomma, nell’ansia metafisica si fondono o si confondono”.

L’immagine di copertina, la foto di uno scorcio dei giardini pubblici di Taormina (ME), è dello stesso Gaetano Cipolla.
Copiose altre illustrazioni a colori abbelliscono l’odierno encomiabile lavoro; fra esse assai suggestive: una veduta dell’Etna dal Teatro-greco romano di Taormina; la Fontana della Vergogna e San Giovanni degli Eremiti a Palermo; una veduta di Cefalù (PA), con la Cattedrale Normanna; il Tempio dorico di Segesta (TP); l’Orecchio di Dioniso a Siracusa; le Saline di Marsala (TP). Ed ancora la magnifica riproduzione del mosaico di Villa del Casale di Piazza Armerina (EN), che raffigura Ulisse mentre offre il vino a Polifemo; il Talamone, nel Tempio di Giove ad Agrigento; la Cappella Palatina al Palazzo dei Normanni e il Trionfo della Morte, di autore anonimo custodito presso il Museo Abatellis, entrambi a Palermo; la statua di Aci e Galatea ad Acireale (CT).  
Calzanti ragguagli afferenti ad ognuno dei nove capoluoghi di provincia e preziose note culturali sui miti, sulle tradizioni e sul costume, nonché sulla letteratura e sugli autori siciliani, corredano la pubblicazione. Fra questi ultimi: Petru Fudduni con lu Dottu di Tripi, a proposito dei quali a breve riferiremo le tracce di un incontro, Domenico Tempio, Nino Martoglio, Giovanni Meli, Luigi Pirandello, Ignazio Buttitta, Alessio Di Giovanni, Antonio Veneziano. Giuseppe Pitrè definisce dubbio quel “componimento popolare in ottava siciliana, con il quale un poeta propone delle difficoltà o dei quesiti a un altro poeta, da cui, in altra ottava, riceve una risposta quasi nelle stesse rime.” Per il carattere ludico e di arte enigmistica, soggiunge Maria Bella, i dubbi, come le sfide, i contrasti e le nniminagghi, erano di grande richiamo per il popolo e venivano recitati nelle piazze durante le feste, assumendo spesso forma di scontri per la supremazia poetica. Se ne trae un esempio dal tomo Sfide, contrasti, leggende di poeti popolari siciliani di Salvatore Camilleri, per il quale i dubbi della nostra tradizione sono giocati tutti o sulla dilogia (doppio soggetto, uno reale e uno apparente) o sul calembour o chiapperello (da chiappare a volo, attraverso un qualsiasi riferimento o bisticcio). È il Dotto di Tripi che, fra l’altro, propone: Dimmi cu’ vivi acqua e piscia vinu, / dimmi cu’ ti saluta di luntanu, / dimmi cu’ senza pedi fa caminu, / dimmi cu’ si currumpi e sempri è sanu; e Petru Fudduni, a tono, risponde: La viti vivi acqua e piscia vinu, / l’amicu ti saluta di luntanu, / la littra è senza pedi e fa caminu, / lu mari si currumpi e torna sanu. Un esempio di calembour è quello legato all’incontro fra Antonio Veneziano e lu Vujareddu di li Chiani: domanda il primo: Cchi farriti, cchi farroggiu, cchi farraju? E risponde il secondo: Corda fa riti, ferru fa roggiu, suli fa raju.
Numerosi proverbi e nniminagghi (indovinelli) guarniscono inoltre il volume e fra essi: Cu’ mancia, fa muddichi; Cui di trenta, cui di trentunu, di vint’ottu ci n’è unu (Li misi di l’annu); Aju un palazzu cu dudici porti, ogni porta trenta firmaturi, ogni firmatura vintiquattru chiavi (li mesi e li jorna); Cu’ pratica lu zoppu, all’annu zuppìa; Cu’ pecura si fa, lu lupu si la mancia.         

Da segnalare, per di più, alcune curiosità.
Endemica in passato e oggi pressoché scomparsa, la nciuria (o peccu), che sovente veniva ereditata dai discendenti di coloro che ne erano stati per così dire titolari, consentiva l’identificazione immediata e indubbia di un casato e di una persona. Le origini sono legate all’attività, a una speciale caratteristica fisica, a un distintivo atteggiamento, a una località, eccetera e la tipologia è assai variegata. Se ne elencano a mo’ di esempio, oltre quelle riportate da Gaetano Cipolla, mutuandole da Titta Abbadessa, alcune più “colorite”: Ninu causilenti, Puddu acquafrisca, Angilu cacaligna, Giuvanni funciazza, Natali cosciajanca, Micalangilu cingalenta, Matteu mattiddina, Cammelu pulici, Ninu uccastotta, Pippinu mustazzu, Miciu favisquadati, Vicenzu pisciafinocchi, Nunziu menzuculu, Cammelu cicireddu, Mariu uccad’aneddu, Affiu masciuscia, Peppi urrocamotti, Turi babbaleccu, Neddu micciastotta, Ninu manazza;
il cirnecu, una speciale razza – tuttora esistente – di cani nativi dell’Etna, posti a protezione del tempio dedicato al dio Adrano. Si narra che mangiassero letteralmente vivi quanti fossero intenzionati a rubarvi e da tale loro aggressività è nato il modo di dire riguardo ai malintenzionati: vi pòzzanu manciari li cani!;
la ricetta della pasta alla Norma, inventata da un cuoco catanese in onore di Vincenzo Bellini, i cui ingredienti sono sarsa di pumadoru, milinciani fritti, ricotta salata: la sarsa [ca è russa] rapprisenta lu focu di Muncibeddu, li milinciani fritti ca sunnu niuri rapprisentanu la lava chi c’è attornu a Catania, la ricotta salata ca è bianca rapprisenta la nivi di la muntagna.  
A proposito di Muncibeddu … i nostri conterranei di area orientale chiamano affettuosamente, senza tema di fraintendimento e senza appello, la Muntagna, Nostra ‘gnura Matri la Muntagna, l’Etna, il vulcano più alto d’Europa. Diversamente essa è denominata Muncibeddu, vocabolo che assomma in sé la radice latina di mons (monte) e quella araba di gebel (monte). Il vulcano, in effetti, era ritenuto dalle credenze popolari il padre di tutti i monti e di tutti i vulcani.

I Siciliani – ebbe ad affermare già Cicerone – hanno un senso dell’umorismo assai sviluppato e trovano motivi di ironia nelle circostanze più disparate; in quelle della quotidianità, ovviamente, ma perfino in quelle serie, al cospetto della religione ovvero e finanche della morte.
Chiudiamo, allora, la rapida disamina concernente questo pregevole strumento didattico realizzato da Gaetano Cipolla con una ultima notazione destinata a deliziarci. L’invito è, pertanto, a leggere le battute della “vedova” e quella di Angelo Musco rispettivamente alle pagine 202 e 243, la scenetta “filosofica” della quale sono protagonisti un debitore e un creditore alla pagina 275, nonché la gag che trae spunto da una ordinaria questione di parcheggio alla pagina 303.
Dopotutto, asserì Platone, fu Epicarmo da Siracusa, vissuto tra il 548 e il 453 a.C., ad inventare il genere teatrale della commedia.

Diversità apparenti in Libromondo

recensioni pubblicate nella Newsletter n. 10/2013, MAGGIO 2013 di Libromondo                                                                         
Benvenuti al decimo appuntamento del 2013 con la newsletter di “LIBROMONDO”, Centro di Documentazione sull’Educazione alla Pace e alla Mondialità e sulla Cooperazione Internazionale di Savona!

La Biblioteca si rivolge a TUTTI: scuole, enti, associazioni, persone singole che amano leggere, conoscere e comprendere. I libri potranno essere consultati in loco o presi in prestito.

L’orario di apertura al pubblico della Biblioteca è:
lunedì, ore 15-17,30
giovedì, ore 9,30-12

Per qualsiasi informazione o comunicazione si può inviare una mail a: libromondo@gmail.com

SOMMARIO NEWSLETTER:
Libri della SEZIONE EDUCAZIONE
Libri della SEZIONE MASS MEDIA
Libri della SEZIONE AFRICA
I PENSIERI DEI BAMBINI DELLA SCUOLA ELEMENTARE MIGNONE DI LEGINO A SAVONA
CORSO FORMAZIONE A TRENTO
EVENTI - INCONTRI: Presentazione libri a Bordighera; Festival dell’India a Milano; Alla scoperta degli altri, Castello d’Argile.

Invitiamo le Associazioni, gli Enti e le Istituzioni a inviarci informazioni sugli eventi da loro organizzati o patrocinati: nella seconda parte della newsletter sarà data pubblicità a Convegni, corsi, eventi ecc. inerenti le tematiche di LIBROMONDO. Le sezioni sono: Europa, Asia, Africa, Americhe, Italia, Donne, Bambini, Religioni, Cooperazione Internazionale, Migranti, Popoli, Diritti, Salute, Hanseniani, Educazione alla Mondialità, Pace, Economia, Sviluppo, Alternative allo sviluppo, Ambiente, Terzo Settore, Mass Media, Protagonisti, Letterature, Fiabe, Favole.

Tutte le newsletter precedenti sono archiviate sul sito dell’AIFO e si possono consultare cliccando al seguente link:
www.aifo.it/libromondo


DIVERSITA’ APPARENTI Un’esperienza, una prospettiva
Carla De Angelis, a cura di Stefano Martello, Fara editore, 2007, ristampa 2011, pagg. 78, euro 10,00

Diversità apparenti  tratta della condizione delle persone portatrici di handicap e della difficile e faticosa situazione delle loro famiglie che, ogni giorno, si trovano a lottare con la carenza dei servizi e i pochi aiuti offerti dalla propria città. L’autrice racconta della sua personale esperienza con la figlia disabile all’amico Stefano, in un interessante dialogo che, a tratti, si sposta su altri temi di attualità come i giovani d'oggi che si trovano di fronte a un futuro incerto. Un libro stimolante e ricco di spunti che invogliano a informarsi maggiormente e approfondire queste tematiche che spesso vengono trascurate, per non lasciare che tutti quei bambini e ragazzi apparentemente "diversi" rimangano invisibili.

Lisa Rossi – studentessa Liceo Artistico “A. Martini” Savona


Carla, poetessa, attenta osservatrice, e Stefano, obiettivo, come ogni buon giornalista deve essere, realizzano un libro a quattro mani, alternandosi capitolo dopo capitolo. Carla offre spunti di riflessione e Stefano, incalzante, dibatte con lei i più disparati argomenti, dai più interiori a quelli meno soggettivi.  Carla, infatti, affronta temi molteplici riguardanti la nostra complessa società moderna, alcuni più emotivi, altri derivanti da statistiche e opinioni comuni. Lo scorrere del dialogo è veloce è incalzante; il flusso dei pensieri dei due narratori-scrittori-protagonisti spesso collima con quello del lettore, che si immedesima perfettamente nel loro dialogo.  Ricco di citazioni, il libro è un “diario”, dal linguaggio semplice e “intimo”.  In esso, Carla ha riposto tutta se stessa e, sicuramente, la mano di Stefano ha saputo aiutarla nel percorso. Il volume ha una piccola appendice: si tratta di qualche poesia significativa, già edita in “Salutami il mare”. Si consiglia la lettura di “Diversità apparenti” a chiunque voglia sentirsi un po' meno solo, quando si trova a riflettere dei problemi della vita.

Alice Rebolino – studentessa Liceo Artistico “A. Martini” Savona




Lo Spielberg del Risorgimento Meridionale


Museo 
Lo Spielberg del Risorgimento Meridionale

Carcere Borbonico di Montefusco
 
Relazione programmatica  delle attività del Museo
“Lo Spielberg del Risorgimento Meridionale” 
 Aprile 2012 / Maggio 2013

                                                                        La Curatrice del Museo
                                                                        dr. Emilia Dente

Il Museo “Lo Spielberg del Risorgimento Meridionale”,  è stato protagonista di una  intensa attività culturale nel periodo di interesse della presente relazione – Aprile 2012 / Maggio 2013, secondo anno di conferimento dell’incarico di Curatrice  alla dott.ssa Emilia  Dente.  I tanti  eventi che hanno animato  le corsie dell’ antico Carcere di Montefusco, sede museale,  attività originali e significative,  hanno consolidato il suo fondamentale ruolo di “custode della memoria” e , nel rispetto della importante mission della istituzione museale come polo culturale e servizio pubblico,polifunzionale e aggregativo,   hanno documentato,  ampliato , valorizzato  e divulgato  il  ricco patrimonio di conoscenze storiche e culturali di cui è esso testimone.

Gli eventi e le mostre
I progetti realizzati hanno proposto temi e argomenti diversi, sempre collegati e/o collegabili alle due specifiche sezioni  che articolano il nostro Museo composito, nell’ intento di ampliare ed approfondire  modalità e contenuti delle conoscenze  possedute, restando sempre ancorati al fulcro storico originario del Carcere – Monumento Nazionale e realtà museale di interesse regionale.
Interessante l’analisi specifica degli eventi proposti , degli appuntamenti  realizzati e  delle offerte elaborate, sintetizzandoli in una esauriente ed utile descrizione.
Aprile 2012:  la Settimana della Cultura , promossa dal Ministero per i Beni e le Attività culturali nella settimana dal 18 al 22 Aprile 2012, ha trovato nel nostro Museo – Carcere Borbonico l’ideale sede per il convegno “Dall’ antico Spielberg agli istituti di pena odierni” :  presentazione del   “Rapporto Carceri 2011”, importante studio  a cura della Conferenza Volontariato e Giustizia della Regione Campania che il Museo “Lo Spielberg del Risorgimento Meridionale” e il Comune di Montefusco, insieme alle città di Avellino, Benevento, Salerno, Caserta e Napoli,  hanno patrocinato. Il convegno è stato realizzato in collaborazione con la Federazione Internazionale Città Sociale, e del suo Presidente Salvatore Esposito. Inoltre, ancora  in occasione della XIV Settimana della cultura,  la sezione artistica del Museo ha ospitato una originale mostra d’arte e di pensiero dal titolo  “Fior di tombolo – la libertà ha il volto dei fiori”, originale accostamento tra opere di pregiato artigianato artistico di pizzillare  montefuscane e poesie scritte da detenuti,raccolte nel testo “Fiori dal Carcere” del prof. Salvatore Salvatore. In occasione della mostra sono stati donati dalle maestre pizzillare Elvira Serino ed Ernestina Stanziale, tre pregevoli quadri da esse realizzati e acquisiti nel patrimonio museale.
In attesa dell’importante evento artistico-culturale “Montefusco ieri e oggi”, nel mese di Giugno 2013, è stata allestita, nella sezione storica del Museo, una  interessante galleria di riproduzioni fotografiche con immagini di antiche lavorazioni a tombolo concesse dalle disponibili artigiane  Adelina Egidio e Anna Mercurio. La collezione, curata nella grafica e nel testo dalla curatrice, comprende foto e didascalie tecniche riguardanti “pizzilli antichi, antichi tesori” e, con il titolo “L’eredità delle Principesse”, è esposta in maniera permanente nella terza sala della “Bottega del Tombolo”, costituendo una integrazione utile e suggestiva del patrimonio culturale ed artistico del tombolo. 
Il 29 e 30 Giugno, e il giorno 1 Luglio, nelle serate dell’ evento estivo più atteso, “Montefusco ieri e oggi: Porte Aperte nel borgo”, la sezione artistica del Carcere, nell’ambito del progetto “Pizzilloggi” ha ospitato una dimostrazione della laboriosa pratica artigianale dei punti più antichi e pregiati del tombolo,  grazie alla generosa disponibilità di alcune giovani  pizzillare.
Nell’ affascinante scenario della chermesse montefuscana, la sezione storica del Carcere è stata visitata da moltissimi turisti, regolarmente accolti ed accompagnati dalla curatrice e dalle accompagnatrici turistiche.
L’esposizione in mostra  dei dipinti partecipanti alla seconda edizione del Premio Nazionale Biennale di pittura  estemporanea “Città di Montefusco”, ha impegnato le sale della corsia superiore del Museo nei giorni successivi all’evento.
Ancora nel pieno dell’estate, dal 12 Luglio  al 5 Agosto, il nostro Museo ha ospitato la mostra fotografica “Lens and Player”, l’ accattivante proposta del C.O.N.I. provinciale  e del suo Presidente, prof. Giuseppe Saviano, finalizzata a promuovere la cultura dello sport e a valorizzare, nella sua proposta itinerante, alcune realtà territoriali meno conosciute. Al fine di più efficacemente promuovere la mostra inoltre la curatrice ha ideato, realizzato e proposto il 12 Agosto,  “Lens and Player: il gioco” un quiz a tema, con quesiti attinenti alla mostra e agli sport in essa raffigurati, inserendolo nella gamma dei giochi per la gioventù organizzati dalle associazioni locali nel periodo estivo, riuscendo così ad avvicinare, pure se occasionalmente, i ragazzi al Museo.
Nel mese di Agosto è stata garantita l’ ampia fruibilità del Museo/Carcere con il progetto “Agosto, museo mio ti (ri)conosco”, programmando nel mese ben 11 aperture straordinarie, serali, domenicali e festive, con la possibilità di visite guidate, soprattutto in occasione dei più importanti eventi della stagione montefuscana, comprese le festività religiose e il giorno di Ferragosto.
Nell’ intento di promozione e valorizzazione della realtà museale montefuscana in occasione della Fiera di S.Egidio, che si è svolta nei giorni 28-29 e 30 Agosto,  nella contrada omonima, il Museo è stato presente con pannelli e fotografie nella sezione fieristica dedicata all’ artigianato locale e al tombolo, realizzando il dinamico progetto “Museinfiera”.
Le Giornate Europee del Patrimonio, promosse dal MiBAC e programmate il 29 e 30 Settembre 2012, hanno rappresentato uno dei momenti culturali più gratificanti, laboriosi e proficui per la curatrice e i collaboratori del Museo. “Il cammino delle idee …  da Napoli a Montefusco nel 1799” è stato l’originale testo teatrale  -autori la prof.ssa Gaetana Aufiero e la dott.ssa Emilia Dente- rappresentato nella sezione storica del Museo il 29 Settembre, interpretato dal gruppo de “Gli Amici del Museo”, occasionalmente costituito . Nella trama di un vivace e ritmato racconto è stato teatralizzato uno degli eventi storici più emozionanti ed esaltanti della terra  meridionale “l’unica rivoluzione che l’Italia ha vissuto…” consentendo dunque, grazie a ricerche ed approfondimenti storici, di acquisire al patrimonio museale del Carcere montefuscano  un ulteriore interessante frammento della sua storia. La proiezione della mostra “È rivolta? Sire, no, è rivoluzione”, realizzata dagli studenti dell’I.T.C. “Giustino Fortunato” di Avellino,  con la collaborazione del prof. Gennaro Vallifuoco, pittore e scenografo, ha arricchito di interesse e suggestione l’ interessante offerta museale. L’impegnativo progetto è stato inoltre rielaborato e proposto come “progetto di visita teatralizzata” dalla curatrice, approfondimento ed ampliamento dell’offerta turistica del Museo montefuscano.
Nel contesto della difficile situazione amministrativa – da Luglio 2012  il Comune di Montefusco è soggetto a Commissariamento prefettizio –, da Gennaio 2013 pure la gestione del  Museo ha dovuto affrontare particolari disagi nella gestione  e programmazione degli eventi e delle visite, comunque garantite e realizzate dalla direzione del museo e dalla curatrice.
Le attività museali del 2013 sono cominciate nel mese di Gennaio, con l’accoglienza degli operatori del canale tematico “Tesori d’Irpinia” che hanno realizzato, nell’affascinante location del Carcere, nei locali sotterranei della Sezione Storica, le riprese del video “Filomena Pennacchio”, drammatico racconto teatrale della vita della “Brigantessa dell’Irpinia”.
Il calendario di eventi proposti e realizzati dal Museo “Lo Spielberg del Risorgimento Meridionale”,  sono ripresi con la proposta dell’ incontro-dibattito del 10 Marzo 2013, dal titolo “Pensieri e Parole”. L’interessante incontro, arricchito dalla proiezione pure del video “Il corpo delle donne”, ha avuto luogo nella insolita location dell’Art Cafè, locale attiguo alla sede museale, anticamente destinato alla carcerazione delle donne.
Nel mese di Aprile 2013, il nostro Museo, nonostante la cancellazione/rinvio  ufficiale della Settimana della Cultura da parte del MiBAC, ha voluto proporre una interessante mostra a carattere storico: la rassegna fotografica e documentale del Gruppo Cultura del Comitato Soci Coop  dal titolo “I.M.I.- soldati con un destino da internati”, inaugurata il giorno 20 Aprile, con la presenza di due illustri relatori, la prof.ssa Gaetana Aufiero storica, saggista e scrittrice e il dott. G. Figliolino, ricercatore locale ed autore di numerose pubblicazioni e con la presenza della comunità scolastica del territorio. La mostra è stata ospitata dal 20 al 28 Aprile 2013 nella sezione storica del Museo.
È inoltre in fase di ultimazione  una  corposa pubblicazione,  l’indagine documentale, archivistica ed etnografica alla ricerca  delle origini sociali ed affettive del “pizzillo” montefuscano, e il nuovo allestimento / sistemazione  della sezione artistica “La Bottega del tombolo”, in seguito alla restituzione di alcuni reperti concessi al Museo in comodato d’uso e all’integrazione di nuovi reperti acquisiti dal Museo.

Attività di documentazione e ricerca storica
Il primo anno di incarico della Curatrice – da Maggio 2011 ad Aprile 2012 – è stato dedicato, in maniera importante, alla ricerca storica ed archivistica, al fine di consolidare e rendere massimamente fruibile il patrimonio di conoscenze storiche che appartiene al Monumento Nazionale che è sede museale e alla antica e gloriosa Città di Montefusco. L’intensa attività di ricerca è testimoniata, oltre che concretamente, nell’itinerario grafico e testuale che accoglie il visitatore, pure nella Relazione Programmatica  sulle attività svolte nel Museo, nell’anno 2011-2012, regolarmente archiviato e consultabile nei documenti del Museo.
Ben strutturato  ed esposto il patrimonio di conoscenze storiche acquisito dunque, il secondo anno di incarico della Curatrice è stato dedicato in maniera importante alla  organizzazione di eventi e mostre e, l’attività di ricerca, documentazione e divulgazione delle conoscenze, ha riguardato, in maniera specifica, la programmazione di tali eventi. Ogni evento, meticolosamente preparato e supportato da opportuna ricerca e documentazione, ha dunque arricchito il nostro patrimonio museale. In modo particolare l’evento realizzato per le Giornate Europee del Patrimonio,  ha illuminato una fase storica, la Rivoluzione napoletana del 1799,  quasi sconosciuta di cui la Città di Montefusco, ancora Capoluogo del Principato, è stato protagonista, e il Carcere, drammaticamente testimone. La storia di Montefuscolo rivoluzionario, della carcerazione di alcuni intellettuali montefuscani, della morte misteriosa del magistrato Pirro de’ Luca, riscoperti nell’indagine storica, vengono raccontati nella stampa di alcuni pannelli esposti nella corsia inferiore, mentre l’indagine etnografica, storica e documentale alla ricerca delle origini sociali ed affettive del “pizzillo” montefuscano, tuttora in itinere, arricchiranno sicuramente il patrimonio conoscitivo della sezione artistica del nostro Museo.

Comunicazione e fruibilità del patrimonio museale
Ampio ed articolato il piano di comunicazione attuato dalla Curatrice del Museo. L’invito alla conoscenza e alla visita al  Museo “Lo Spielberg del Risorgimento Meridionale” è stato formulato con tutti gli strumenti comunicativi possibili, da quelli tradizionali – video proposti sui canali tematici locali, interviste Radio, segnalazione sulle principali testate giornalistiche  – agli strumenti informativi più attuali. In particolare nell’anno 2012 l’intento di promozione e valorizzazione del Museo  ha concretizzato l’esigenza di un agile strumento divulgativo cartaceo e  sintetico supporto multilingue,  il depliant  “Lo Spielberg del Risorgimento  Meridionale” – elaborato testualmente e graficamente dalla dott.ssa Dente. Finalizzata alla più efficace promozione turistica, per la comunicazione e per un’opportuna visibilità del museo nei social network più accreditati e diffusi, è stata pure elaborata la pagina Facebook “Lo Spielberg del Risorgimento Meridionale – Carcere Borbonico”, vetrina digitale costantemente aggiornata con foto, eventi e notizie del Museo. Infine, per una comunicazione diretta con i visitatori, e per un opportuna verifica del gradimento dell’offerta turistica, è stato formulato il “Questionario di gradimento” proposto ai visitatori durante la visita al Museo.
I tanti eventi realizzati nel periodo considerato sono  stati inoltre sempre presentati alla stampa e alle televisioni  locali con interessanti comunicati stampa, articoli di approfondimento, notizie ed aggiornamenti utili che hanno ottenuto una buona risonanza nelle testate giornalistiche  e sui siti web di interesse turistico.
La più ampia fruibilità  del patrimonio museale e dello storico Monumento nazionale che ne è sede, insieme alla garanzia di una corretta e professionale accoglienza da parte di accompagnatori turistici opportunamente preparati, sono i principi fondamentali che  hanno dettato il Calendario di apertura del museo “Lo Spielberg del Risorgimento Meridionale”. Oltre all’ampia disponibilità alla visita , garantita nei giorni feriali, da Lunedì a Sabato, negli orari di apertura degli Uffici del Comune di Montefusco, nell’anno 2012, nelle ordinarie condizioni di gestione economica  e con la piena  collaborazione degli accompagnatori/accompagnatrici, regolarmente iscritti all’albo comunale, sono state realizzate da Maggio a Dicembre 2012 ben 242 ore di visite guidate al Carcere /Museo (di cui 94, svolte dalla curatrice a titolo volontario e gratuito nel periodo considerato e 20 ore nel periodo da Gennaio 2013 alla data odierna) assicurando la migliore accoglienza, l’accompagnamento di collaboratori esperti e la piena fruibilità del patrimonio monumentale  pure con itinerari diversi dall’offerta base. Sono state, nel periodo considerato, esaudite tutte le richieste di visite, consentendo, in particolare, ai visitatori che avevano programmato e prenotato la visita nel nostro borgo, una permanenza piacevole ed interessante, di cui ci hanno lasciato pure testimonianza sui registri di visite
Tra le visite, tutte gratificanti e piacevoli, particolarmente significativa ed emozionante  per il Museo, è stata la visita del preside  dott. Elio Abatino e dei docenti della Facoltà di Scienze Turistiche di Napoli  e dell’Istituto di Ricerca e di Didattica ambientale  IREDA, Domenica 2 Dicembre 2012, che, entusiasti e piacevolmente impressionati dalla buona accoglienza e dalle interessante offerta turistica, hanno conferito una targa di riconoscimento al “Direttore e al personale del Museo  Lo Spielberg del Risorgimento Meridionale – a ricordo dell’interessante visita”.
In merito alle modalità di prenotazione delle visite, è da segnalare che, nell’anno 2012, è stato migliorato notevolmente il sistema di prenotazioni, ampliandolo con le modalità digitali (prenotazioni via mail e/o contatto facebook). La stima completa e dettagliata, e l’analisi statistica dei visitatori per l’anno 2012, è consultabile sul sito del Comune di Montefusco, nell’omonimo documento (Analisi Statistica dei Visitatori – anno 2012).
Nell’anno 2012 è stato inoltre possibile realizzare un calendario di Aperture Straordinarie con possibilità di visita guidata, pure in orario pomeridiano, serale e festivo, un calendario ampio ed articolato, pure in occasione delle tante mostre ed eventi realizzati.
Nello specifico: 25 Aprile 2012 – apertura  mattutina e pomeridiana.
Nel mese di  Maggio 2012  ci sono  state diverse Aperture Straordinarie: il Primo Maggio,il 27 Maggio,  in occasione della manifestazione Cantine Aperte, assicurando una buona attività di accoglienza e accompagnamento dei turisti che, nel mese di Maggio, hanno scelto numerosi  il borgo storico, l’antico carcere e il Museo come interessante meta turistica. Un’altra Apertura Straordinaria, il 2 Giugno, in occasione della presentazione del testo “Prima che il silenzio scenda…” del dott. Gerardo Figliolino, ha incontrato il favore dei turisti che, pur non avendo programmato anticipatamente la visita, secondo le modalità consuete delle visite guidate del Museo, hanno potuto adeguatamente fruire dell’ accompagnatrice turistica, alla scoperta del patrimonio monumentale montefuscano.
Nel mese di Luglio, dal giorno 7 al giorno 16 sono state previste Aperture straordinarie serali, dalle ore 21.00 alle ore 23.00, in occasione della mostra di quadri partecipanti al concorso di Pittura Estemporanea “Città di Montefusco “, seguite poi dalle 6 Aperture Straordinarie per i week-end e le serate di Luglio, dedicati alla mostra Lens and Player.
Ampio il calendario di aperture straordinarie ad Agosto con il progetto “Agosto, museo mio ti (ri)conosco”, ben  11, di Domenica, nei giorni festivi e in orario serale, per completare poi la stagione estiva con l’Apertura Straordinaria di Sabato 1 Settembre, dalle 17.30 1alle 20.30, in occasione dell’evento “Il Tommariello d’oro”.
A Settembre l’evento GEP del 29 e 30 Settembre, ha previsto un ampio orario di apertura del Museo pure in orario pomeridiano.
Il giorno 28 Ottobre, Sagra della Castagna, è stata prevista l’Apertura Straordinaria pomeridiana, in occasione della visita dell’Associazione Culturale di Trani “Libera i libri”, con la proposta del video “Le Carceri dell’Ottocento”.
Ultima Apertura Straordinaria prevista  nell’anno 2012 è stata in occasione della presentazione del libro di Raffaele Barbieri “Nebbie in collina”, il 10 Novembre 2012.
Nell’anno 2013 le difficoltà amministrative del nostro Comune  hanno comportato disagi pure nella gestione delle visite al Museo , pur riuscendo comunque a garantire la migliore accoglienza dei visitatori e alcune Aperture Straordinarie (25 Aprile 2013 e 1 Maggio 2013 ).

L’impegno costante  di chi ha lavorato costantemente ed appassionatamente al Museo montefuscano ha ottenuto alla giovane e dinamica istituzione museale del nostro paese riconoscimenti importanti e concreti , basi solide per un utile investimento culturale ed  economico e per una intelligente politica di sviluppo sostenibile che l’antica Città di Montefusco può e deve sostenere.